– di Valentino Scordino –
Anche in queste condizioni, dietro queste reti che separano la città dal campo profughi, senti la forza della vita rinasce. Schedìa vuol dire zattera ed è il nome di un’associazione, nata circa una decina d’anni fa con lo scopo di dare la possibilità ai tanti senzatetto di Atene di mettersi alla prova con diverse attività: perché possano sentirsi ancora parte del tessuto sociale della città e non più esclusi o ai margini.
Schedìa pubblica una rivista che porta lo stesso nome e sulla quale scrivono, gratuitamente, alcune tra le firme più prestigiose del giornalismo greco. Il giornale viene venduto alle fermate della metro. Metà del ricavato viene consegnato all’associazione per poter pubblicare il numero successivo e l’altra metà resta al venditore come suo salario. Questo ha permesso a centinaia di persone stritolate dalla gravissima crisi greca e finiti a vivere per strada, di recuperare la propria dignità con un lavoro e una casa.
Abbiamo conosciuto Lambros, ex receptionist presso una catena di alberghi, tutti falliti per via della crisi e lui stesso finito sulla strada. Una sera Lambros torna a casa e scopre che il proprietario ha cambiato la serratura. Provate a pensare come potreste sentirvi a non poter usare il vostro bagno, il vostro letto, i vostri armadi. Lambros ha dormito per trenta giorni sotto i portici, senza lavarsi e quasi senza mangiare per la vergogna che provava all’idea di mendicare. Al 31° giorno…la luce, rappresentata dai volontari di Schedìa. Lambros è andato in un ostello sociale e dopo tanti giorni si è potuto lavare. L’indomani ha cominciato a vendere il giornale. Oggi è pieno di gioia perché può pagarsi l’affitto e anche le bollette. Caso eccezionale in cui pagare le tasse può addirittura portare gioia. Lambros ci ha accompagnati nel “tour degli invisibili”, un servizio particolarissimo che fa Schedìa: incontrare i quartieri più colpiti dalla crisi, in particolare il quartiere di Omonia che doveva essere un quartiere centrale per la città, con uffici, sedi di aziende e di attività economiche ma che con l’arrivo della crisi si è svuotato, ha iniziato ad essere il quartiere di spaccio e di prostituzione, gli uffici lasciati vuoti sono stati occupati in breve tempo dai senzatetto. Anche per questo nel quartiere si concentrano la maggior parte delle strutture di assistenza come centri diurni, mense, centri di riabilitazione, ricoveri, ambulatori sociali, importanti centri gestiti sia dalle istituzioni locali che da ONG, che cercano di rendere meno difficile la situazione di vita in cui versano sempre più persone in Grecia. Sono tante le persone che si recano presso i centri di assistenza e sono invisibili agli occhi dei turisti; eppure, ad osservare bene, si comprende meglio lo stato di crisi in cui si trova la Grecia, quelle verità che non si trovano sui giornali o nei depliants.
Lambros, con le lacrime agli occhi, ci ha raccontato di aver partecipato all’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e i rappresentanti dei movimenti popolari e sociali. Lui era uno dei 40 seduti sul palco, accanto a Francesco.
Camminando per la città ti accorgi che i segni della grande crisi che ha investito questo piccolo grande Paese sono molto evidenti. Edifici che hanno avuto momenti di splendore e che ora sono tristi, vuoti, fatiscenti. Spesso anneriti dalla sporcizia e le finestre sembrano tante orbite vuote da cui sono stati cavati gli occhi. Magari per venderli a qualche mercato clandestino di organi.
Bisogna fare attenzione ai segni di rinascita anche dove, a prima vista, sembrerebbe impossibile. Un primo segno è la solidarietà internazionale nei confronti del popolo greco e dei profughi. Migliaia di volontari vengono da tante parti del mondo, in direzione ostinata e contraria a quella dei governi dei loro Paesi, e li ritrovi a servire nelle mense, nei dormitori, negli ambulatori medici gratuiti, nei campi, nelle strutture di accoglienza. E qualcuno non si accontenta di venire una volta…e ritorna…come tanti che abbiamo incontrato. Un altro segno di speranza è il centro di accoglienza di Neos Kosmos. Qui e nella vicina chiesa armena sono ospitate famiglie intere e singoli. Con tanti bambini. La loro voglia di giocare e far festa, nonostante il ricordo terribile di ciò che hanno lasciato alle loro spalle, è uno dei più grandi segni di speranza. E in queste grandi case vivono insieme Cristiani e Musulmani, siriani, curdi, palestinesi. E danzano insieme nelle loro feste e sono bravissimi a coinvolgerci. Dalla cucina comune provengono i profumi più ricchi e più belli e più vari.
Un giorno si è aggiunto anche quello della pasta al pomodoro, basilico e parmigiano e la frittata di patate, preparate da noi per una cena di centoventi persone di tutte le età e con un miscuglio di storie e di sogni.
Il segno di speranza più grande è nell’aver compreso profondamente il senso della frase antica con cui i Greci ci hanno ovunque accolti non appena sentivano della nostra provenienza magno-greca: “Una faccia, una razza”.
Questo saluto che si riferisce alle comuni radici segna per noi la piena consapevolezza della comune appartenenza alla specie umana, della nostra cittadinanza planetaria.