“La materialità trasmette significati.

Procura i mezzi attraverso i quali sono visualizzate le relazioni sociali,

perché è attraverso la materialità che articoliamo il significato

e pertanto essa è la cornice entro cui le persone esprimono l’identità”

(Sofaer, MaterialIdentities, 2007)

Io sono qui rafforza il semplice io sono (Lynch K. ,1981)

 

duomo

– di Anna Arcudi –

I materiali hanno sempre avuto un ruolo nella specifica narrazione di un territorio, contribuendo alla creazione di un’ identità locale e testimoniandone le relazioni con il contesto naturale e geologico. Così è successo con la pietra leccese protagonista dell’architettura a Lecce, la pietra serena tipica delle costruzioni architettoniche toscane o la pietra lavica a Catania e nell’intera area etnea chiamata a svolgere tanto la funzione di pietra da costruzione, quanto quella di pietra ornamentale.

La città esprime attraverso questa materialità una sua potente carica atmosferica, una pelle, che nel corso del tempo acquista sempre più valore, diventando il testimone delle vicende che attraversano i luoghi.

Il centro storico di Reggio Calabria, distrutto dal terremoto del 1908 ,è stato ricostruito utilizzando in parte materiali locali ed in parte materiali provenienti dalla vicina Sicilia. La pavimentazione del centro è tutta realizzata con pietra lavica, che è stata sepolta da uno strato di asfalto per renderla più facilmente percorribile. Il tessuto edilizio della ricostruzione post terremoto è più o meno lo stesso e questo ci consente ancora di poter riconoscere topograficamente le strade e le piazze, ma la pelle del centro storico sta cambiando a causa di una serie di interventi progettati, finanziati, approvati e autorizzati dalle amministrazioni e dagli organismi di tutela.

Lo smantellamento della pavimentazione storica del corso Garibaldi e di quella di piazza Duomo costituiscono solo l’esempio più doloroso di una incapacità di salvaguardare la pelle della città. L’eliminazione dell’asfalto che ricopriva la pavimentazione poteva costituire l’occasione per riportare alla luce le lastre di basalto, restaurandole e non smantellandole.

Cancellare l’edilizia storica e sostituirla con materiali scadenti e standardizzare il Corso, rendendolo anonimo e simile a quello di tanti altri luoghi, è un’occasione perduta. Recuperare la “pelle” della città è l’indirizzo culturale che avremmo dovuto seguire.  L’ Italia possiede in tal senso una enorme esperienza.

Mi chiedo, per acquietare una personale esigenza di senso, quale tipo d’identità e quali significati possano esprimere i materiali scelti per la nuova pavimentazione del Corso Garibaldi e di piazza Duomo e mi chiedo ancora quale sia l’idea di città storica di chi ha promosso e portato avanti tali lavori. Di fronte alla Cattedrale adesso c’è un’anonima spianata, realizzata con un materiale che non le conferisce dignità e che le attribuisce l’aspetto di una enorme area di parcheggio vuota, in contrasto e dissonanza con il resto degli edifici che la circondano.

Attraverso questi singoli interventi, sulle strade e  nelle piazze del centro si sta ridisegnando la qualità estetica della città storica che indebolisce la sua capacità di generare una magnetizzazione semantica. Il rischio è quello di perdere, pezzo dopo pezzo, la cornice che custodisce l’identità.

Perdere il senso della città storica significa perdere l’identità personale e quella della comunità.

Allo spazio urbano dobbiamo anche una parte di noi stessi e di ciò che siamo.

 

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