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di Chiara Tommasello – Ho conosciuto Mimmo Lucano durante la mia partecipazione ad un campo Arci nell’Agosto 2013. Non che non lo conoscessi già, Mimmo: già allora, prima che Fortune lo notasse e prima che il mondo delle fiction lo eleggesse come candidato perfetto per una nuova serie tv, ecco già allora la sua fama lo precedeva. Almeno a livello locale. Almeno tra gli addetti ai lavori, se per “lavori” intendiamo i più vari percorsi e laboratori di solidarietà, uguaglianza, giustizia sociale. Ecco, chiunque si fosse interessato di questi temi, Mimmo Lucano lo conosceva già. In una mattina di quell’Agosto 2013, torrida e asfissiante come solo certe mattine ioniche sanno essere, lo avrei finalmente incontrato di persona.

Il campo Arci era iniziato da due o tre giorni, con diversi seminari sulle tematiche di legalità, diritti, migrazione, e la sede era, appunto, Riace. L’utopica Riace, Riace città del sole, non solo quello torrido e asfissiante, ma quello che illumina le differenze, le mette nella giusta luce e le fa brillare. Riace città aperta, splendido borgo che ha spalancato le proprie porte e le proprie finestre, e dopo averlo fatto si è riscoperta ancora più bella. La Riace dei Bronzi che non dimentica quanta ricchezza può venire dal mare. Ecco di questa Riace Mimmo Lucano era l’anima e l’ispirazione, e lo è anche oggi.

Lo incontrammo nei pressi della sede di Città Futura, associazione riacese che dal 1999 si occupa di, e pratica, accoglienza. Ricordo che in quell’occasione mi colpì soprattutto la sua semplicità, il suo essere straordinariamente umile e alla mano. Non occorre darsi grandi arie per fare grandi cose. Probabilmente, Mimmo non aveva neanche mai pensato di costruire un modello, ma è stata solo la conseguenza, tanto accidentale quanto meravigliosa, di un sentimento di solidarietà umana e giustizia sociale, praticato e perseguito con tale forza da diventare idea e infine fede. Il percorso da seguire, in fondo, e le sue parole lo hanno espresso chiaramente, era così automatico da potersi delineare con elementare semplicità: da una parte, persone senza casa; dall’altra, case senza abitanti. Da una parte, dunque, il dramma delle migrazioni, della fuga, delle persecuzioni, di un approdo incerto; dall’altra, il dramma dello spopolamento dei piccoli centri, e della perdita di storia e di memoria che ogni abbandono e sradicamento porta inevitabilmente con sé. E fu proprio l’incontro di due diversi drammi a suggerire e costituire la soluzione: mettere a disposizione le molte case ormai inabitate di un paese che muore a coloro che approdano alla disperata ricerca di un futuro e di una vita dignitosa. Semplice. Così semplice che anche un bambino ci avrebbe pensato. Tuttavia, i bambini non hanno potere politico e decisionale, e allora occorreva che ci pensasse un adulto, magari un sindaco. Ecco, Mimmo è stato il primo a rendere semplice una cosa che a tutti gli adulti fino ad allora (e a molti a dire il vero anche oggi) era sembrata piuttosto complicata: vedere se stesso nell’altro e aprire le braccia in nome della solidarietà. Inizia così, il sogno, e poi si colora e si arricchisce di ulteriori dettagli: il borgo si ripopola, torna vivo, riaprono le botteghe artigiane, riapre la scuola e persino l’asilo. E mentre Mimmo ci parla della sua visione e degli sforzi fatti per renderla reale, i murales disseminati per il paese e le banconote coniate nella stessa Riace e raffiguranti, tra gli altri, Peppino Impastato e Che Guevara, ci ricordano da che parte stiamo: dalla parte delle donne e degli uomini. Dalla parte degli ultimi, sempre.

Abbiamo incontrato nuovamente Mimmo dopo qualche giorno nei locali della mediateca comunale, nel corso di una discussione sul valore dell’impegno politico alla quale partecipava anche l’ex sindaco comunista di Rosarno ed ex senatore Peppino Lavorato. Era l’incontro tra un gigante della politica e un visionario, tra due uomini dall’animo grande e gentile che hanno dedicato la propria vita al sostegno delle idee di uguaglianza e giustizia sociale. I ricordi e i racconti del loro impegno politico, delle innumerevoli battaglie, dei compagni assassinati per mano mafiosa, tratteggiavano con nitidezza quello che la mia terra, benedetta e maledetta insieme, sarebbe potuta diventare, e invece purtroppo non è. Ricordo che mi sono profondamente commossa (loro stessi avevano gli occhi inumiditi di lacrime) e che fino a quel momento la politica non mi era mai sembrata un qualcosa di così nobile e alto. A conclusione dell’incontro, qualcuno chiese a Mimmo se non avesse paura che la fine del suo mandato, del suo impegno, della sua presenza, comportasse anche la fine del sogno riacese. In altre parole,fu chiesto: “Se il prossimo sindaco non dovesse rinnovare i progetti di accoglienza, che ne sarà di Riace? Che ne sarà di Riace dopo Mimmo, senza nessuno che persegua questa idea con tanta caparbietà? E se dovesse tornare tutto come prima, non sarà stato un fallimento?”. La sua risposta suonava più o meno così: “Vedete ragazzi, non è tanto importante il luogo, e non sono così importanti le singole persone. L’importante è l’idea. Qui e ora questa idea esiste, è tangibile, noi l’abbiamo realizzata, e basta questo perché un giorno qualcun altro in qualche altro luogo ne venga a conoscenza e provi a riprodurla. L’esperienza di Riace può anche concludersi, ma basta che una sola persona la riproduca altrove affinché l’idea continui a esistere e resti viva”. Questo era Mimmo: un uomo al servizio di un’idea. Se ne era innamorato così tanto da diventarne strumento di attuazione. Ricordo che in quel momento mi sono sentita particolarmente responsabile e credo  che questo sentimento fosse piuttosto diffuso tra coloro che avevano assistito insieme a me a quell’incontro. Eravamo diventati custodi di un’idea.

Sono passati quattro anni da allora, e purtroppo non ho più assistito a un confronto politico capace di trasmettermi tante emozioni, tanta carica, tanto senso di responsabilità. In compenso sono cambiate molte cose. Il Modello Riace è diventato famoso in tutto il mondo, e la notorietà ha ovviamente investito anche il sindaco Lucano, che pure continua ad essere quella persona semplice e alla mano che abbiamo conosciuto. Con l’aumento dei progetti Sprar, l’accoglienza diffusa delle persone migranti e dei richiedenti asilo è ora presente su grande parte del territorio nazionale. Tuttavia, questo non è servito a scoraggiare l’insorgere di istanze xenofobe e razziste, puntualmente alimentate da rappresentanti politici mediocri evidentemente privi di contenuti e soprattutto di idee. Immigrazione e criminalità continuano ad essere drammaticamente collegate nel discorso comune e lo straniero fa ancora paura.

Eppure l’accoglienza diffusa funziona, e porta con sé, rispetto ad altri modelli di accoglienza, gli enormi vantaggi di costi più bassi e di dimensioni decisamente più umane. Così, sempre più città hanno aderito nel tempo, e continuano tuttora ad aderire, alla rete Sprar, che è nel frattempo diventata un sistema di dimensioni veramente vaste. Con beneficio di molti comuni, soprattutto piccoli, ma anche medi e grandi, i finanziamenti pubblici che tengono in piedi i progetti Sprar incentivano i consumi e creano occupazione. Allo stesso tempo, le maggiori occasioni di contatto tra stranieri e italiani favoriscono l’integrazione scoraggiando paure e diffidenze. Il Modello Riace ha avuto successo su tutta la linea, e nella stessa cittadina ionica baciata dal sole, i progetti già esistenti si sono ampliati e ne sono nati dei nuovi. Chi ha dimestichezza con il mondo della progettazione sa bene quanto lavoro di burocrazia e di rendicontazione c’è dietro l’erogazione di finanziamenti pubblici. Nel caso del Comune di Riace, proprio per via delle dimensioni attuali dei vari progetti di accoglienza, l’attività di rendicontazione deve avere certamente raggiunto livelli estremi di complessità. La rendicontazione d’altronde costituisce una parte dei meccanismi di controllo dei progetti di accoglienza applicati uniformemente su tutto il territorio nazionale e resi necessari dal fatto che, appunto, non tutti i gestori sono come Mimmo, anzi, molti di loro non gli somigliano neanche lontanamente. Burocrati allo stato puro, interessati unicamente al rispetto di procedure talvolta rigide e limitanti e soprattutto privi di quel surplus di etica e solidarietà umana che non sarà mai rendicontabile in nessun progetto, compiono quotidianamente la banalità del bene, come potrebbero fare qualsiasi altra cosa. C’è chi sta dalla parte della legalità, chi dalla parte della giustizia, e non necessariamente le due cose coincidono. C’è chi svolge, anche correttamente, il proprio lavoro e c’è chi mira, mediante il proprio impegno, a costruire una società più giusta. Data l’indiscutibile onestà di Mimmo, dato il suo rigore morale, ogni contestazione eventualmente accertata (ma questo è ancora da vedere) potrà evidenziare forse qualche carenza nella rendicontazione di un singolo progetto o di una parte di esso, ma non intaccherà minimamente il modello, la visione, l’idea.

È questa la cosa che più conta: Mimmo ci ha mostrato, con semplicità e coraggio, che si può migliorare il mondo a partire da un’idea. Non lo ringrazieremo mai abbastanza; quello che però possiamo e dobbiamo fare è sostenerlo, sempre, con tutta la forza possibile.

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