Questa notte ho fatto un sogno. Era tarda sera, e non so come ci ritrovammo, io ed altri tre amici, in una macchina bianca a girare per tutta la città, con un secchio stracolmo di colla liquida che oscillava pericolosamente ad ogni curva e – ahimè – ad ogni buca, e un mucchio di manifesti da affiggere il più velocemente possibile. Non che fosse una gara, una corsa a premi: piuttosto, trattandosi di manifesti elettorali, affermerei che il sogno prese una piega, per dir così, politica. Ma non quella politica becera e vergognosa, a cui ci hanno abituato negli ultimi trent’anni e della quale giustamente la gente non vuole neanche più sentir parlare – salvo poi seguire diligentemente, nel segreto dell’urna, le indicazioni del compare. Non quella politica che si riduce a mero controllo e mantenimento del consenso, a potere perseguito con ogni mezzo e a qualunque costo, alla morte cerebrale irreversibile di etica, ideali, integrità. Tutt’altro! Posso dire, senza ombra di dubbio, che la politica che nel sogno si cercava di praticare era un qualcosa di radicalmente diverso. Non nuovo, certo – lungo la via dell’impegno per la giustizia sociale abbiamo per fortuna molti illustrissimi maestri e molte spalle giganti sulle quali appoggiarci – ma un qualcosa di totalmente estraneo, per dir così, alla degenerazione tipica dei nostri tempi e dei nostri luoghi. Si trattava, anzi, di quella politica che è impegno, servizio e generosità, di quel tipo di politica che nasce precisamente da un tarlo, da quel disagio tutto interiore che ti impedisce di star tranquilla se tutt’attorno vedi gente che sta peggio di te, quella politica che è spinta propulsiva a lottare contro le ingiustizie e le disuguaglianze di qualsiasi genere e di qualsiasi natura.

I manifesti che portavamo con noi erano quelli di un movimento, popolare e dal basso, costruito solo pochi mesi fa per recuperare ideali senza tempo e nettamente di sinistra – sinistra senza se e senza ma, sinistra-sinistra, sinistra punto. Questo movimento avrebbe partecipato alle elezioni con un programma di governo scritto con l’apporto di centinaia di assemblee territoriali e pieno zeppo di cose di sinistra, come la redistribuzione della ricchezza, il lavoro stabile e sicuro, l’edilizia popolare, il sostegno all’istruzione, cose di sinistra insomma. Ce l’avete presente? No? Mi dispiace.

Ad ogni modo, abbiamo iniziato ad attacchinare, e in questo mio sogno eravamo veramente bravissimi perché, al contrario di molti altri, rispettavamo scrupolosamente la posizione assegnataci per l’affissione dei nostri manifesti elettorali, senza ricoprire o strappare ad oltranza manifesti altrui, fermamente convinti che la visibilità sia un diritto democratico da garantire a tutte le forze politiche. Ecco in effetti proprio a tutte no, perché, sempre nel sogno, rispettavamo sì questo principio, ma con una eccezione: i fascisti. E questo perché la loro non è semplicemente un’idea tra le tante, ma è, diceva Pertini, l’antitesi delle fedi politiche, ed è inoltre, dice la Costituzione, un reato, e questa cosa va detta e ribadita, nella vita vera e pure nei sogni.

Fatto sta che a un certo punto, mentre svolgevamo il nostro lavoro certosino, ripassando per caso una seconda volta in una strada già percorsa, notiamo che i due manifesti affissi solo pochi minuti prima e quindi ancora bagnati di colla, erano stati strappati via dal tabellone, presumibilmente dallo stesso uomo che si accingeva adesso a ridurli in mille pezzi, appallottolarli alla meno peggio e lasciarli agonizzanti sul marciapiede, il tutto davanti ai nostri occhi. In un attimo, il pluralismo democratico e l’intero arco parlamentare erano stati sommersi da una sfilza di Minasi, Siclari, Ripepi, per chi non lo sapesse Lega, Pdl, Fratelli d’Italia. Il tempo di realizzare quello che era appena accaduto e, parcheggiata la macchina in modo frettoloso e quindi abbastanza selvaggio – per fortuna era un sogno – ci ritroviamo davanti a lui a chiedere spiegazioni, non aggressivi, e meno che mai intimidatori e violenti. Recriminanti sì, però, erano i nostri manifesti, e che cavolo! Lui ci vede, e poi ci guarda. Non ci conosceva, ma ci riconosce subito, nel senso che intuisce chi siamo. Gli piacciamo, e si dispiace per quel che ha fatto. Prova a tirar su uno dei nostri manifesti dal marciapiede, goffamente cerca di ricomporlo, ma è in mille pezzi e non c’è nulla da fare. Non importa, ne metteremo un altro. Mettetelo qui – ci dice – c’è ancora la colla fresca, l’ho passata io poco fa. Sapete, io ero emigrato a Milano, lì frequentavo sempre i centri sociali, e quante lotte ho fatto! Poi sono tornato, ho bisogno di lavorare io, e per fare questa cosa mi danno quaranta euro a notte, ma io sono di sinistra! – E votateci allora! – rispondiamo noi.

Ecco a questo punto il mio ricordo si fa così vivo, nitido e tangibile che potrei quasi giurare che non fosse un sogno, che tutto quello che racconto qui sia accaduto realmente. Potrei giurare di aver visto davvero quell’uomo ridere di un riso amaro e fare spallucce, con l’espressione inconfondibile di chi ti sta dicendo “cerca di capirla da sola, questa cosa, perché io non te la posso dire!”. Il sospetto che in qualche modo, tacito o dichiarato, anche il suo voto fosse parte di quel lavoro, il sospetto atroce che quei quaranta euro – peraltro sudati – fossero comunque vincolati all’espressione di una specifica preferenza sulla scheda elettorale, ecco questo sospetto è una cosa che davvero non si può – non si vuole – immaginare come parte della vita vera, della realtà tangibile. Dev’essere stato un sogno per forza. Magari, un incubo.

Rimettiamo il nostro manifesto, poi ci rigiriamo verso quell’uomo e lo salutiamo gentilmente. Lui ci risponde con dolcezza. Carichiamo il secchio di colla, ormai semivuoto, sulla macchina, mettiamo in moto e andiamo via. La città è grande e il tempo a disposizione scarseggia, persino nei sogni. Una volta ripartiti, facciamo un po’ fatica ad attaccare discorso, a ricominciare a parlare. Sentiamo tutti, da qualche parte nello stomaco, o tra l’aorta e l’intenzione, una specie di tarlo, una sorta di disagio interiore, quello che ci impedisce di star tranquilli, che è spinta propulsiva contro le ingiustizie e le disuguaglianze, di qualsiasi genere e di qualsiasi natura.

E con questo tarlo, io, stamattina, mi ci sono svegliata.

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