I personaggi tragici greci, espressione di una civiltà fortemente connotata dai concetti di colpa e vergogna, rappresentavano sulla scena il conflitto etico e le sue manifestazioni drammatiche.
Tramite immedesimazione o opposizione, esorcismo e catarsi, rispondevano a quella funzione educativa che lo Stato attribuiva loro prioritariamente su quella ricreativa.
La Polis definiva così la sua identità, formava la sua comunità al riconoscimento di principii, fondeva e subordinava i diritti naturali e individuali in conflitto, al Diritto e alla Morale di cui essa era garante.
La prospettiva storica, certo, tende a idealizzare e smussa le contraddizioni della realtà. E dunque inganna.
Resta il valore di un’idea che è diventata modello ed è stata adattata a tempi, luoghi, regimi, strumenti diversi, rimanendo un pilastro fondamentale della cultura socio politica: cittadini si diventa, ed uno Stato che ha a cuore se stesso deve assumersi il dovere di formare i propri cittadini.
La nostra società ha smarrito tale capacità di educare, ha disperso quella varietà di istituzioni pubbliche e private che questo compito svolgevano consapevolmente o a cui tradizionalmente e naturalmente collaboravano.
La formazione politica prima affidata alla frequentazione nelle sezioni o addirittura nelle scuole di partito (interclassiste e intergenerazionali) ha lasciato il posto a forme di coscienza politica paranoiche e populiste come il luogo virtuale nel quale si sviluppano, aggressive come l’attitudine da stadio con la quale si esprimono; l’educazione al gioco a cui introducevano il cortile, il campetto (creatività, condivisione delle regole) si è arresa alle forme individualistiche dello smartphone, a quelle a rischio patologia dei videogames e dell’azzardo; l’educazione al lavoro ed alla solidarietà cardine della famiglia allargata (sacrificio, responsabilità) è stata fagocitata dalla voracità di un mercato globale che piega ogni cosa alle sue necessità; l’educazione alla sessualità affidata all’immaginazione e agli amici più smaliziati – con tutti i rischi del caso – è stata sdoganata in prima serata e sul web, divenendo feticcio di facile consumo e fanatica ostentazione più che intimo piacere; l’educazione linguistica svolta per tanti anni dalla televisione pubblica –con buona pace di Pasolini che ne aveva previsto la deriva – si è appiattita alle tendenze delle tv commerciali e dei loro linguaggi grossolani mentre internet, tra i tanti benefici, ha avuto il demerito di corrompere l’abilità grafica manuale in nome di una scrittura digitale sintetica, simbolica e generica.
Tutta quella ricchezza di componenti educative del passato, pur tra limiti pedagogici e falsificazioni culturali, conservatorismo e gerarchie autoritarie, trovava sintesi nella scuola, il luogo terzo in cui si metteva ordine, in cui le diverse educazioni si ritrovavano, si confrontavano, si amalgamavano o si definivano ulteriormente per contrasto.
-Si astrae, si generalizza, si omette, è ovvio, nella sintesi di una riflessione –
Alcune di quelle istituzioni hanno abdicato, altre si sono dissolte con i tempi di cui erano figlie, altre sono state riformate rinnovate modernizzate al punto da non riconoscersi più e non essere più riconosciute.
La sola ad aver mantenuto, quasi contro voglia ma per intrinseca natura, il ruolo educativo e formativo dei nostri cittadini è stata la scuola.
E la scuola avuto l’onere, il merito e l’ingenuità di accollarsi tale complessità senza proteste, quasi rassegnata.
E, impreparata, ha improvvisato.
Sono così proliferate materie-meteora dai nomi roboanti: Educazione sessuale, Educazione alla cittadinanza, Educazione ambientale, Educazione alla salute, all’alimentazione, alla legalità; tutte affidate senza confini e scopi precisi a docenti di materie altre senza titolo per occuparsi anche di quello.
Con un’unica mossa, per delega, si sono banalizzati temi fondamentali, si sono disorientati adolescenti e mortificate professionalità.
Qualcosa dunque è andato storto, ingolfato da quelle stesse forze progressiste che per difendere il valore dell’individuo, per sancire sacrosanti diritti e contestare ingiusti privilegi hanno finito per divenire alleati della peggiore reazione e, confondendo piani e funzioni diverse, giustificare assurdità e relativizzare tutto, annientando ciò che era senza prendersi la briga di ricostruire organicamente e coerentemente un percorso alternativo.
Non si può quindi ignorare una serie di interrogativi che gli episodi di violenze e inciviltà sempre più frequenti tra gli adolescenti italiani sollevano in modo urgente; dinamiche non solo scolastiche ma sociali (e dunque politiche) malate e sulle quali riflettere. Almeno tre:
– Il carattere performante della tecnologia: guardo e riguardo quei video, incredulo. Cosa è successo? Eravamo anche noi così? Leggo commenti che parlano di problema della scuola, problema dei genitori, problema generazionale e così via. Tutto vero, parti di vero.
A me pare evidente che quei ragazzi stiano recitando, siano in scena, vivano una sorta di reality nel quale il pubblico non si limita ad osservare ma partecipa, incita, suggerisce e gusta l’effetto che fa.
Sembra un’arena nella quale la folla acclamante moltiplica la tracotanza e il cinismo del lottatore; l’eroe al centro della scena che si nutre di adrenalina, il protagonista che non ha bisogno di raccontare perché tutti vedranno e sapranno cosa è stato in grado di fare.
Non ci vedo contestazione dell’autorità, consapevolezza, solo istinto, sfogo, ribellismo puerile.
Esisterebbe questo senza uno smartphone in grado di riprendere tutto e diffonderlo in diretta? Senza la vanagloria del like e l’orgoglio delle condivisioni? Penso di no.
Penso che senza il loro pubblico quei ragazzi non sarebbero i piccoli aguzzini che abbiamo visto. Si tratterebbe di pochi secondi di celebrità relativa destinata ad essere dimenticata.
E dunque esercizio di stile senza senso: non ci sarebbe lo stesso gusto.
– La scarsa autorevolezza del docente: guardo e riguardo quei video, spumante rabbia. Cosa farei se succedesse a me? Tutto ciò che viene istintivamente in mente davanti a quelle scene è anche ciò che un prof. non può assolutamente fare. Ovvio. Niente ceffoni, niente calci in culo, per intenderci. Si finirebbe in un mare di guai. E allora? Allora il punto è che a quel punto non ci si dovrebbe mai arrivare.
Al netto dei limiti caratteriali di un singolo docente il discorso non cambia.
Chi rispetterebbe più un arbitro se non avesse in tasca il cartellino rosso? Cosa ve ne fregherebbe di un vigile che fischietta se non vi potesse multare?
Bene, i docenti sono stati screditati e delegittimati da venti anni di retoriche e riforme che ne hanno minato il prestigio sociale e svalutato l’autorità; la scuola è stata svenduta alle logiche dell’azienda: il genitore-cliente vi si reca con l’approccio del soddisfatto o rimborsato, di chi rivendica un servizio che ha pagato a fannulloni impenitenti; l’alunno-cliente vi si reca con la presunzione di non aver nulla da imparare da quegli sfigati, falliti che blaterano di cose inutili e lontane dal mondo scintillante di apatia nel quale le cose vanno diversamente.
– L’incapacità di autoregolarsi e riconoscere limiti morali o civili: guardo e riguardo quei video, e mi tremano le mani. Cosa diventeranno quei ragazzi? Chi sono fuori da quell’aula? La recente brillante idea del liceo breve rientra in una logica coerente: il bambino/ragazzo è gradualmente divenuto una creatura da ammaestrare nel più breve tempo possibile per offrire alle aziende manovalanza specializzata dotata di competenze standardizzate, specifiche e limitate, con conoscenze vaghe, capacità di comprendere e interpretare se stesso e la realtà scarse, spirito critico e autonomia di giudizio nulli.
Il lessico della nuova scuola è rilevante per capirne l’orientamento: obiettivi, successo, eccellenza, debiti e crediti, offerta formativa, portfolio di competenze, spendibilità.
Saper fare è il nuovo mantra! Saper fare senza capire quello che stai facendo, perché lo fai e gli effetti di ciò che fai!
In questo quadro si inseriscono le risate del pubblico-regista-sceneggiatore di quei video, in questo quadro si inseriscono i protagonisti bulli e dannati.
E con la stessa indifferente leggerezza allora si può umiliare un disabile, abusare di una compagna, derubare un coetaneo, pestare un omosessuale, impiccare un cane, dare fuoco ad un barbone; sempre sotto i riflettori e sempre senza sentire il freno di una morale, la percezione del male e il peso della sua banalità.
Personaggi tragici moderni, confusi, condannati alla mediocrità utile, vittime e carnefici di una civiltà talmente veloce ed efficiente da trascurare l’umanità e la responsabilità delle proprie azioni, i sensi della colpa e della vergogna che ne derivano.
Riguardo un’ultima volta quei video e vedo una società che ha dimenticato di educare i propri figli.
Uno Stato di individui a cui nessuno insegna ad essere cittadini.