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di Antonella Saraceno

 

ESODO è la parola che ho visto, la parola che ho toccato, quando nel maggio 2015 mi sono ritrovata all’interno di un Istituto per la cura dei tumori a Milano, per iniziare un percorso a tutt’oggi non ancora concluso.
Eravamo un centinaio in quella mega sala d’attesa, ognuno chiuso nei suoi problemi, Esoaccompagnati dai familiari. Nel brusio molte voci risultavano essere familiari , avevano il mio stesso accento, riconoscibilissimo, o comunque accenti a me noti, vicini. Ed allora incontri sorrisi, cominci a scambiare parole, perché poi, in questi posti, ci si ritrova in una fratellanza inusuale all’esterno.
E ti chiedi: Perché?
Ti chiedi perché il tuo sacrosanto diritto alle migliori cure ed al miglior risultato auspicabile, tu debba andarlo a cercare a 1500 km da casa tua, abbandonando famiglia e affetti e facendo i conti con situazioni economiche non sempre floride.
Così cominci a farti un esame di coscienza…
È colpa mia, tua, nostra, perché tutte le volte che qualcosa non funziona facciamo spallucce e cerchiamo strade traverse, chiediamo la raccomandazione per ottenere una visita, poter fare un esame medico, avere un contatto per un incontro con un medico davvero competente.
È colpa mia, tua, nostra, che consentiamo l’arroganza di camici bianchi, che più sono incompetenti più diventano arroganti, senza denunciare la loro incompetenza. E partiamo…per curarci al Nord o all’estero.
Chi dovrebbe tutelarci? Per i nostri uomini politici -siamo noi stessi a votarli, badiamo bene- questo non è certo un reale problema. Le grosse cifre che girano intorno alla Sanità garantiscono scambi di poltrone ed incarichi, che rendono la situazione di emergenza sempre necessaria e vantaggiosa. Del resto, se uno di loro si ammala avrà i suoi canali preferenziali, salterà le liste d’attesa, andrà al Nord a farsi curare, garantito dalle relazioni, dalle amicizie e dalle disponibilità economiche.
Ma è ESODO anche quello di tutti i professionisti che ho incontrato nel mio peregrinare: il chirurgo che mi ha visitato è di Siracusa, quello che mi ha operato della provincia di Reggio Calabria, ed è così per tanti, tutti figli del Meridione che hanno scelto o sono stati costretti a trasferirsi per valorizzare la propria dignità di lavoro, per lavorare in strutture adeguate, formarsi e restare aggiornati e cercare il giusto riconoscimento della propria professionalità.
Bisognerebbe ricordarselo tutte le volte che varchiamo la soglia di un ospedale del Sud: il diritto alla salute non deve essere un bene “ad opzione”, a seconda che lo vogliano il medico, l’infermiere, il politico o l’amico di turno.
Fuori di retorica -la retorica del “restare al Sud” a tutti i costi- questo della salute è un diritto chiaramente negato. Da qui bisogna ripartire per non dovere partire più.

1 commento

  1. grande Antonella, ti ammiro, e dici bene. Ripartire dal Sud, per una buona Sanità e non dover partire dal Sud,verso il nord,per potersi curare!!!

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