Sogno una città nella quale mi possa sentire a casa, tra persone che, indipendentemente da dove siano nate, si sentono a casa come me. Una città in cui persino i visitatori, i turisti, i lavoratori in trasferta, i passeggeri, si sentano a casa.

Sogno una città accogliente ed aperta, perché il nostro mare, storicamente, è luogo di incontro e di apertura e noi dobbiamo rendergli onore. Una città gemellata con tantissime altre, in tutto il mondo, e qui non occorre neanche spiegare il perché, basterebbe dire: perché no?

Sogno una città creativa, che proponga festival di letteratura e di archeologia, manifestazioni di street art, contest di musica rock senza soluzione di continuità; che sia in grado di coltivare i talenti e che offra loro degli spazi. Una città che educhi all’arte, alla musica, alla bellezza, perché ogni giovane che parte possa portare con sé un buon bagaglio e nessuna vergogna. Una città i cui abitanti rifiniscano le facciate prima che l’interno delle proprie case, perché non è vero che il pubblico è di nessuno: il pubblico è di tutti, di ciascuno di noi, è un “privato condiviso” e questo deve entrarci in testa una volta per tutte.

Per la stessa ragione, sogno una città pulita,e qui so che siamo in tanti. Una città attrezzata, con isole veramente pedonali, parchi giochi per bambini e – perché no – aree recintate per i cani in ogni zona, affinché il mio possa scorrazzare liberamente senza infastidire nessuno.

Sogno una città che sia dolce e gentile nell’educare, nell’istruire, nell’insegnare, perché, se sbagliamo, molte volte è per mancanza di opportunità, per ristrettezza di vedute, per carenza di modelli, per odio del presente e disamore del futuro. Una città che allo stesso tempo sia però ferma nel sanzionare, giusta nel punire, preparata a rieducare, perché alcuni paletti non si possono spostare neanche di un millimetro ed il rispetto della dignità altrui e la cura del prossimo sono tra questi, che il prossimo ci piaccia o no.

Sogno una città senza barriere architettoniche, culturali e mentali. Una città con le piazze brulicanti, piene di bar con i tavoli all’aperto, affinché possa scegliere quello che più mi piace e passarci le serate con gli amici dopo il lavoro – nel locale non è la stessa cosa, il locale è al chiuso e non rende onore al nostro clima. Piazza Orange, per dire, me la immagino così. Una città in cui ogni quartiere ed ogni periferia siano dei “centri alternativi”, piacevoli da vivere e da visitare.

Sogno una città in cui tutti abbiano lo stesso valore e siano ugualmente importanti, in cui non esistano padrini, baroni, rispetti – laddove il rispetto è una cosa distorta e indica che alcune persone le rispetti e altre invece no – perché mi sono proprio stancata di dover sopportare le forme odiose e detestabili con le quali si esprime, alle mie latitudini ma anche altrove, il potere maschile.

E poi … sogno “un tetto per ogni famiglia, del pane per ogni bocca, educazione per ogni cuore, luce per ogni intelligenza”, ma questo era il sogno di Vanzetti e io a dire il vero l’ho copiato, e poi l’ho fatto mio. E quindi sogno una città in cui tutte le persone, indipendentemente dal luogo di origine e dal colore della pelle, quindi, semplicemente, tutte le persone, abbiano garantiti i servizi essenziali, l’istruzione, il cibo, un tetto, la sanità, perché sono convinta che, se così fosse, anche chi questi servizi li ha già assicurati vivrebbe meglio, e perché da piccola mi hanno insegnato che la bontà è una cosa bella e io, anche se oggi essere buoni è diventato un insulto, reputo tuttora questo insegnamento convincente.

Infine, sogno una città in cui ci sia Viale Rino Gaetano, Largo Lou Reed, Piazzale Clash, ma questi sono gusti personali e se ne può discutere, anche se sarebbe certamente una discussione molto accorata. Piazza Valarioti, però, più che sognarla davvero la vorrei, e qui semmai il mio sogno è che tutti – o per lo meno molti – siano d’accordo con me. E che da questa unione di sogni nasca una realtà nella quale, più che sognare, possa davvero, finalmente, essere bello svegliarsi.

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