Stando alle dichiarazioni dei diversi sindaci, amministratori, politici locali, da diversi anni ormai sembra che il turismo sia unanimemente riconosciuto come la più importante delle nostre prospettive di sviluppo, economico e non solo. Quante volte ne abbiamo sentito parlare? Quante volte abbiamo udito l’espressione “bisogna insistere sul turismo, incoraggiare il turismo”? Davvero tante, così tante che ormai non si contano neanche più.
…e noi di Nomi, Cose, Città, R come Reggio siamo perfettamente d’accordo!
Il problema è che, detto così, appellandosi cioè ad un’idea di “turismo” tanto generica quanto indefinita, c’è il rischio che tutte queste altisonanti dichiarazioni si risolvano in un discorso un po’ vago, incapace di generare politiche concrete e di lungo respiro. Che cosa è, nello specifico, questo “turismo” a cui ci appelliamo e che presentiamo come la panacea di tutti i mali che affliggono la nostra splendida e povera terra?
Beh, intanto, ad un primo livello di approfondimento, possiamo già notare che esistono diversi tipi di turismo, diversi “modelli” non tutti compatibili tra loro. Esiste il turismo di massa, caratterizzato da interventi strutturali forti ed invasivi che modificano in maniera netta le caratteristiche e l’estetica dei luoghi; esiste un turismo culturale, che mira invece alla riscoperta, salvaguardia e valorizzazione dell’esistente. Esiste, ancora, un turismo naturalistico o sportivo; esiste un turismo basato sulla movida notturna. Esistono, insomma, numerosissimi modelli di sviluppo turistico, e il compito della politica è essenzialmente di individuare quello che più si adatta alla vocazione di un territorio ed intraprendere strategie coerenti affinché questo modello trovi una concreta applicazione.
Per quel che riguarda la nostra città, da “addetta ai lavori”, ritengo che fino ad ora, piuttosto che individuare, appunto, un modello adatto, siano state intraprese misure saltuarie, occasionali, attinenti un po’ a tutti i modelli sopra elencati, prive di una coerenza interna e soprattutto di una visione d’insieme. Devo inoltre rilevare che, nonostante si parli così tanto di turismo e nonostante il clima mite e la diversificazione ambientale consentirebbero viaggi ed escursioni praticamente in ogni periodo dell’anno, attualmente in questa città i flussi turistici veri e propri si concentrano in un periodo molto breve, che va dagli ultimi giorni di luglio fino al 20 agosto circa. Proviamo dunque ad impostare un discorso costruttivo: visto che abbiamo moltissimi margini di miglioramento, cosa possiamo fare per crescere?
Noi riteniamo che occorra principalmente individuare un modello di turismo che ci renda riconoscibili ed attrattivi, e che definisca la nostra identità. Una volta stabilito questo, bisognerà attuare delle strategie politiche di lungo periodo coerenti con questo modello. A nostro avviso, il tipo di turismo che più si adatta alla nostra città, che maggiormente cioè ne rispecchia la vocazione, è il turismo culturale e sostenibile, che presenta numerosi vantaggi. Innanzitutto, si fonda sul recupero e sulla valorizzazione dell’esistente, e in tal modo non solo consente di evitare grandi opere ed interventi invasivi, ma garantisce anche il rispetto e soprattutto la vivibilità del territorio, a beneficio sia dei turisti che degli stessi cittadini. Secondariamente, si tratta di un tipo di turismo sempre più di tendenza e al passo con i tempi. È il turismo del futuro, destinato certamente a diventare, nei prossimi anni, il modello principale, il più gettonato.
Ma in cosa consistono esattamente queste strategie di lungo periodo che riteniamo essenziali per costruire concretamente il nostro sviluppo turistico? Per spiegarmi bene, vorrei fare l’esempio di una regione che ha conosciuto nell’ultimo decennio un vero e proprio boom di presenze, imponendosi come una delle destinazioni principali del panorama nazionale: la regione Puglia. Su cosa si basa esattamente il loro successo? Come è stato costruito?
Una quindicina di anni fa iniziai a frequentare il corso di laurea in Antropologia all’università La Sapienza di Roma. Ricordo che mi colpì molto il fatto che, tra studenti provenienti da tutta Italia, ci fosse un folto gruppo di colleghe e colleghi pugliesi il cui corso di studi era interamente finanziato dalla Regione Puglia, lo stesso ente che avrebbe poi assicurato a questi studenti la possibilità di effettuare stages o tirocini retribuiti nella regione di provenienza. La scelta del corso di studi, antropologia, non era affatto casuale: la Puglia aveva deciso di investire sulla cultura e si stava attivamente operando per formare un gruppo di cittadini/e che fossero in grado di sviluppare questo settore, di recuperare, valorizzare e promuovere le tradizioni popolari.
Tombola. Chapeau. Per osmosi, prossimità, diffusione di buoni esempi e buone pratiche, la città di Matera ha fatto la stessa cosa, e si è ritrovata Capitale della Cultura del 2019.
Potremmo prendere esempio anche noi? Assolutamente sì. Che cosa ci manca per fare lo stesso? Il progetto, la visione, la pianificazione. E poi basta, si può partire. Perché l’Italia è tutta bella, ma è il racconto che rende veramente potente questa bellezza. E di storie interessanti da raccontare, noi, ne abbiamo veramente tante. Io, antropologa da b&b, lo vedo nella mia esperienza quotidiana: quando racconto ai miei ospiti che a Gallicianò l’ospite è sacro; che il nostro è un mare antico solcato da decine di popoli e culture; che Grifone dovette convertirsi al cristianesimo per sposare Mata; che l’Aspromonte tecnicamente non appartiene all’Appennino ma alle Alpi; quando parlo delle “città doppie” (borgo e marina) e delle città fantasma, ecco, quando racconto tutte queste cose vedo che i miei ospiti iniziano a guardare la cartina affascinati, con uno sguardo sognante, rapito, innamorato.
Dobbiamo dunque imparare a raccontarci, e badate non è retorica, poiché, per poterlo fare bene, è necessario conoscere noi stessi e successivamente sviluppare professionalità che rendano attrattivo questo racconto.
Che tipo di narrazione caratterizza oggi la nostra terra? Restando sul tema del turismo e del viaggio, mi ha molto colpito la maniera entusiastica con cui molte testate on line locali hanno accolto il reportage di viaggio recentemente pubblicato su The Guardian e firmato dal giornalista Tim Parks. In questo testo, la Calabria ionica viene presentata come bella, pigra, accogliente, fatalista. La narrazione che ne emerge descrive una terra affascinante, idealizzata, selvaggia e dal sapore retrò, e quando si parla romanticamente di “treni che partono in anticipo, o in ritardo, o da una piattaforma inaspettata” oppure del carattere della gente, sì accogliente ma abbandonata “ad un caldo fatalismo”, ecco sembra che ciò che attualmente riesce a portare i visitatori in Calabria sia una sorta di “estetica del sottosviluppo”, il fascino del buon selvaggio, di matrice coloniale.
Ecco, questo non ci può star bene. Ritengo che sia necessario, all’interno di questa narrazione, discernere tra ciò che può essere “salvato” e ciò che invece bisogna modificare. I treni, ad esempio, devono partire ed arrivare in orario e, se insufficienti, bisogna aumentarne le corse. E, sul fatalismo, beh, io non ci trovo nulla di affascinante. Il fatalismo è quello che ci porta a pensare che tanto non cambierà mai nulla, e quindi meglio approfittare del qui ed ora per spennare, per dire, ogni turista che ci capita a tiro. Il nostro fatalismo ci ha svenduti a sistemi di clientele ed ha prodotto, negli anni, centinaia di case non finite, di discariche abusive, di fogne a cielo aperto che sporcano il blu del nostro splendido mare.
Ecco, il nostro splendido mare. Il 9 giugno 2019 la Gazzetta del Sud ha riportato i dati ufficiali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) che rilevano come in provincia di Reggio Calabria ci sia il maggior numero di acque classificate come “scarse”. Un report di Legambiente pubblicato nell’Aprile 2019 evidenzia invece come sia stato emesso per il quinto anno consecutivo il divieto di balneazione su dieci punti del litorale cittadino.
Contro ogni fatalismo, contro ogni inerzia, pretendiamo che ci venga restituito il nostro mare. Siamo la città dello Stretto: il mare è tutto; se non è tutto, è la prima cosa.
Allo stesso modo, cominciamo ad esigere pulizia, decoro e cura degli spazi pubblici urbani. È davvero la base, parte tutto da lì.
Acquisiamo, poi, professionalità. Costruiamo un’idea, una visione, impariamo a raccontarci. Attuiamo sul territorio politiche coerenti e di lungo periodo e monitoriamole con un osservatorio permanente sul turismo che coinvolga soggetti pubblici e privati.
E cominciamo a concretizzarlo, finalmente, questo sviluppo turistico, che sarà anche sviluppo economico, culturale, ambientale, civile. E che possa consentire, a chi di noi vuole, di ritornare. A chi vuole, di restare. E a chi vuole comunque partire, di partire con un bagaglio migliore.

Il testo é l’intervento per l’Assemblea sul turismo, organizzato da “Nomi Cose Città R come Reggio”

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