Intervento per Il collettivo La strada

C’è un piccolo quartiere a Reggio Calabria, quasi anonimo, incastrato tra via Pio XI, Via Sbarre Superiori e l’Argine Sud del Calopinace: tre file di casette basse
sopravvissute chissà come tra minacciosi palazzoni che le osservano quasi con dispetto.

Della Borgata Giardini non ne conosco la storia, ma quelle casette dal sapore vintage con tetti spioventi e spazi umani e ordinati (al netto dell’immancabile abusivismo) mi hanno sempre affascinato come il ricordo di tempi che non ho vissuto e il sogno di tempi che vorrei vivere.

Ai margini c’è un campo da calcetto meglio noto – almeno a me – come il campo di Sportworld, negozio sportivo della zona che per prossimità identifica anche ciò che gli sta intorno.

E poco sotto uno spiazzo triste, che ricordo utilizzato raramente per feste rionali organizzate da Rif. Comunista, talvolta dalla comunità induista per raduni e partite di cricket, con costanza come deposito di bisogni di cani e umani in transito, ultimamente eletto anche punto di riferimento della discarica diffusa della città.

Insomma uno dei tanti luoghi che abbandono e incuria negano da decenni alla collettività.

Passandoci qualche giorno fa ho visto dei lavori in corso: pulizia, sbancamenti, abbattimento di orribili muretti ed eucalipti (di cui, pur essendo un amante degli alberi, sono un fiero oppositore).

Bello! – mi sono detto – finalmente!

Mosso da curiosità mi sono avventurato per la viuzza disastrata e polverosa, che costeggiato l’argine s’infila tra le schiere di casette e porta all’area in questione, alla ricerca di informazioni o anche solo di una immagine del progetto; così, per farmene un’idea.

Nulla.

Ho provato allora a chiedere ad un anziano che, dall’uscio di casa, mi ha gentilmente informato su cosa stessero facendo.

Il piano prevede, a suo dire, una piazzetta poco sotto il livello della strada ( “…ma faranno un sistema di scolo delle acque” si è affrettato a puntualizzare vedendo proiettata dalla mia espressione smarrita l’immagine di una piscina con sacchetti di spazzatura alla deriva. )

“E’ venuto pure il sindaco, ci ha fatto vedere il progetto, speriamo…”

“Ma quindi vi hanno coinvolti nel progetto, vi hanno chiesto cosa serve secondo voi?”

“Sono venuti un paio di volte, ci hanno fatto vedere il progetto, ci hanno spiegato…”

 “Ok, e questa strada rientra anche nel progetto, la sistemeranno?”

“Questo non ve lo so dire giovanotto, speriamo…”

Non sono uno di quelli a cui non va mai bene niente: comprendo le difficoltà amministrative e quelle finanziarie; apprezzo la buona volontà e non cedo al facile sospetto di credere che questo fervore di lavori pubblici sia da collegare esclusivamente alla prossimità delle elezioni.

Non è questo il problema, ben venga comunque la riqualificazione di un’area e soprattutto il coinvolgimento dei suoi abitanti nella progettazione.

Quello che fatico a comprendere è il perché la normalità, nella nostra città, debba avere il sapore agrodolce della conquista straordinaria, della speranza (“speriamo…” ha ripetuto più volte il cortese signore).

Perché, inoltre, un cittadino non ha il diritto di vedere quale sia il progetto in corso, quale la ditta che lo esegue, quali i tempi di realizzazione?

Ma il punto della questione va oltre lo specifico caso.

Reggio è certamente uno degli esempi più fulgidi dello stile incompiuto, sia nell’edilizia privata che in quella pubblica (mi auguro, ovviamente, che non sia questo l’ennesimo caso).

Tralasciando l’edilizia privata, dramma a parte, è frustrante che la soddisfazione per la riqualificazione di un’area pubblica debba portare sempre con se’ quel fastidioso alone di sospetto che non se ne vedrà mai la fine, che dell’entusiasmo iniziale rimarranno cantieri abbandonati, transenne arrugginite, sterpaglie e degrado. (vedi ad esempio Parco lineare sud, Arena Lido, Bretelle verso Cannavò ecc. ecc.)

E senza sapere il perché questo avvenga (nessuno chiaramente sentirà il dovere di spiegare alla gente le motivazioni dell’interruzione dei lavori, l’abbandono del cantiere e tutto ciò che c’è dietro) cadrà paziente l’oblio sulle dichiarazioni e le passerelle che avevano accompagnato l’inizio dei lavori quanto sulle responsabilità del danno alla comunità.

Già, perché bisogna anche chiedersi come sia possibile che a Reggio le ditte dei lavori pubblici, piccoli e grandi, possano impunemente permettersi pressappochismo, imperfezioni, arbitri, disagi e disfunzioni senza che siano chiamate a risponderne tempestivamente ( a caso tra i tanti: le nuove basole precarie del Corso Garibaldi in attesa di stabilizzazione, o le centinaia di scavi che hanno devastato il manto stradale senza che mai i responsabili abbiano avuto cura di ripristinarlo “a regola d’arte” ).

Perché dunque non si esercita il legittimo e doveroso controllo sulla realizzazione dei lavori?

In un contesto del genere sembra che le piccole cose ordinarie, quelle che non costano nulla e che tanto significano, siano favolosi successi o magnanime e sporadiche concessioni.

Quella città che abbiamo la facoltà di immaginare, forse non dovremmo ritenere un diritto rivendicarla a gran voce, impegnarci per vederla realizzata?

E’ necessario dunque insistere – a costo di apparire noiosi e molesti –su un’idea di sviluppo organica in se’ e armonica con la propria storia, il proprio territorio e la gente che ne vive e ne sa bisogni e disagi; è necessario ridare dignità alla normalità, alla partecipazione come metodo del rapporto tra cittadini e istituzioni che trova sostanza nel rigore, nel controllo e nella verifica delle responsabilità.

In modo che la speranza, ultima a morire, non sia sempre la prima a restare delusa.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here