«E non vedrò più nessuno / ho i pugni pieni di peste / Addio bivacchi di festa / accesi sotto la luna (…) / pupille, risa, disprezzi / scambiati da infame a infame» Bufalino, Diceria dell’untore.

 

È come in Fahrenheit 451,dove la lettura è diventata un reato ei pompieri appiccano roghi alle case che la praticano. Oggi, come in un romanzo distopico, all’indice non sono i libri, ma qualcosa che con i libri ha in comune l’etimologia. L’esercizio della libertà di fare una passeggiata all’aperto, una corsetta, di respirare l’aria di fuori. Con tanto di droni, a Reggio Calabria (o a Forlì) come a Wuhan, a spiare dall’alto i comportamenti dei cittadini e garantire il coprifuoco. E la popolazione divisa tra chi, da chat e bacheche fb, invoca misure sempre più drastiche per colpire i sovversivi e chi si interroga sui limiti di questa operazione di polizia che, da un giorno all’altro, ha ribaltato e blindato le nostre vite.

Fino a qualche settimana fa descrivere uno scenario del genere sarebbe stato fantascienza. Oggi ci siamo dentro. Certo, per reale necessità. Lungi da me voler incoraggiare atteggiamenti irresponsabili, in spregio di quei decreti con cui il governo sta tentando di metterci in salvo da una pandemia serissima.

Mi interrogo solo sull’abbondanza di commenti di odio e caccia all’untore leggibili in queste ore sui social: post di mamme, padri e brava gente che condivide numeri speciali per denunciare i passeggiatori killer. Che lancia inviti alla delazione dai gruppi WhatsApp dell’asilo dei figli. Che pubblica foto di comuni esseri umani rei di non indossare una mascherina (anche se le mascherine sono introvabili), di correre da soli all’aperto (già prima che scattasse l’esplicito divieto) o semplicemente di camminare, pur ignorando tutto della persona che cammina (magari una di quelle cassiere che lavorano persino nei weekend e dovremmo piuttosto ringraziare). Anche la presunzione di innocenza è caduta in questi veri e propri processi sommari a like unificati con relative prove immortalate, per la gogna social, dal balcone di casa. «Sto contando quelli che passano senza mascherina», «Ho visto già sette persone in circolazione!»: frasi così – raccolte tra profili fb reggini e del tutto analoghe ad altre riscontrabili, in rete, su tutto il territorio nazionale – stanno diventando sempre più popolari e veicolano il crescendo della rabbia forcaiola. Eppure le mascherine, come già detto, scarseggiano, e nei giorni scorsi, quando sono stati scritti questi post, in tanti uscivano per lavoro (la chiusura delle attività produttive non essenziali è posteriore). Mentre è notizia ancora più recente – segnalata dal giornalista Bruno Palermo – la diffusione, a Crotone, tramite social,di un elenco di pazienti risultati positivi al tampone del Covid- 19. In aperta violazione della privacy. E con cattiva pace di quanti, da Nord a Sud, sempre via web 2.0, chiedono dalla prima ora di “fare i nomi” a tutela della salute pubblica.

Che dire ancora della guerra in atto sullo Stretto, con centinaia di persone, tra cui donne e bambini, ad attendere in macchina, al porto di Villa San Giovanni, in giorni di maltempo, il loro destino (accoglienza o rifiuto) di rientranti dal Nord?Ritorno in molti casi per “necessità” e quindi in regola con gli ultimi decreti, anche secondo il Viminale, e tuttavia da inaccettabili fuorilegge per il presidente della Regione Sicilia che, in linea con le reazioni del sindaco di Messina (e di una fetta di comunità sui territori interessati), li ha posti al bando di ogni logica giuridica, morale e umana di assistenza. La questione si lega a quella, emersa precedentemente, del pregiudizio indiscriminato, per quanto riguarda Reggio e Meridione, nei confronti della stessa categoria di rientranti dal Nord o sospettati di esserlo, generalizzando un non rispetto delle procedure che è stato il comportamento irresponsabile di una parte di essi.Fino a ieri il problema erano i fuggiaschi dei barconi, ora sono diventati – senza distinzione –runner ed (ex)conterranei.

Il bisogno di un capro espiatorio torna con forza nei periodi di crisi, come la storia – e la letteratura, da Manzoni a Camus a Bradbury, – sanno ma non insegnano. E gli stati giuridici di emergenza – sin dai tempi della dittatura romana, magistratura eccezionale per tempi eccezionali poi degenerata in titolo a vita sul finire della Repubblica – richiedono, da parte dei cittadini, più responsabilità che coazione, più testimonianza personale che giustizialismo qualunquista. Perché la necessità provvisoria di declinare il dovere morale, prima che legale, verso la comunità, come distanza fisica e obbligo di restare a casa non giustifica il rifiuto di aiutare il vicino in difficoltà e la perdita di compassione, né nobilita la delazione. E perché ciò che ci tirerà fuori da questi tempi bui è uno sguardo lucido di scienza e di pietas e non le allucinazioni della piazza social quando si fa megafono di “dicerie dell’untore” ed erige, con irrazionale ferocia, la sua “colonna infame”.

Da questo punto di vista, l’emergenza sanitaria Covid-19 riporta in evidenza quegli aspetti delatorii e anti-scientifici dei social-network – dal cyberbullismo alle fake – su cui è quanto mai necessaria una riflessione. Tanto più che la quarantena estesa alla quasi totalità della popolazione localee nazionale – e applicata in maniera diversificata su scala europea e mondiale – sta diventando, suo malgrado, un efficace test su utilità e limiti del web. E, ad esso legato, mentre il clima si avvelena – tra paure reali e immaginarie, nostalgie di una normalità (e una libertà) che si teme per sempre perduta e l’evocazione di soluzioni sempre più autoritarie cavalcando il momento – un test di umanità. Con premessa tautologica.

L’umanità sopravvive solo se resta umana. È questa la sfida più importante ai tempi del Coronavirus. La sopravvivenza fisica ha bisogno di costanti esercizi di umanità – quelli di chi lavora in prima linea negli ospedali come dei volontari che fanno la spesa agli anziani e si curano dei senza fissa dimora – e non dei suoi contrari: caccia all’untore o al paziente zero e sospetto reciproco. L’antica humanitas è la sola che può farci sopravvivere oggi per ritrovarci ancora umani domani.

*Il disegno in copertina è di Giuseppe Romeo

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