images

di Valentino Scordino –

A Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca, preti bergamaschi che hanno deciso di trascorrere il tempo della quaresima vivendo in TENDA, sui sagrati delle loro chiese, in segno di solidarietà coi migranti del mondo.

La tenda è il simbolo di ogni esodo. Colui che è oppresso, nel momento in cui acquista consapevolezza di essere schiavo, sceglie di abbandonare le proprie sicurezze, per quanto precarie, di lasciare la stabilità del cemento e dei mattoni per cominciare un percorso che è ancora più insicuro e incerto di quello che sta lasciando. Solo un grande sogno/progetto può giustificare un simile gesto.
Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca saranno giudicati folli, esibizionisti, inconcludenti, ma il loro gesto “profetico” è la prova evidente di come l’esodo sia un cammino di liberazione dell’oppresso e dell’oppressore, della maggioranza e della minoranza, del primo e del quarto mondo, di chi sta in alto e di chi in basso. Dell’esodo se ne può dare una lettura politica, filosofica, spirituale, esistenziale. Esso ha una valenza originaria di liberazione di una minoranza dal giogo di dipendenza imposto da un potere economico-politico-militare ed è motivato dalla speranza delle degli oppressi di oggi di potersi emancipare perché hanno intravisto una via d’uscita dalla loro condizione. E grazie a loro, in questa profezia, possono ritrovare un senso le nostre povere vicende di “militanti”, spesso delusi, con la bocca piena di parole di libertà e il cuore pesante di tante piccole schiavitù, con l’illusione della terra promessa dietro l’angolo e la realtà del deserto ancora sconfinato. Perché, diciamolo chiaramente, “nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: ci si libera insieme” (Paulo Freire).
Per noi Esodo è uno zaino da mettersi sulle spalle per cominciare a camminare.
E’ destino praticamente inevitabile che nella storia umana ogni minoranza sfruttata, quasi senza che essa stessa se ne accorga, diventi motivo di turbamento per la maggioranza degli sfruttatori. C’è nelle minoranze qualcosa di insopportabile, che suscita lo scandalo di coloro che hanno potere e diritti: è come se la presenza di minoranze non recuperabili entro l’ambito sociale dei gruppi dominanti o entro lo spazio psicologico determinato dai comportamenti consueti ed ufficiali, si traduca in un incubo minaccioso. E di fronte a questa realtà, si può rispondere costruendo ghetti, campi profughi, alzando muri, stendendo il filo spinato, fissando quote. A Calais come a Bruxelles, in Macedonia come in Slovenia, in Austria come in Svezia, lungo il Rio Bravo che separa il Messico dagli USA. Ma è impresa vana: i muri sono destinati a crollare. Anche quelli più robusti come sono quelli mentali. Perché i popoli in cammino di liberazione sono composti da coloro che hanno sperimentato fino in fondo una lunga, dolorosissima e ingiustificabile amarezza. Essi si costituiscono come “esodanti” in uno stato di mortificazione profonda, con la sensibilità di gente a cui viene contestato dal potere tutto ciò che di più vitale la libertà sa suggerire. Viene contestata la vita stessa.
Ed è da questa massa di “insignificanti” e “impoveriti della terra” che può nascere una nuova consapevolezza, una nuova coscienza, perché sono loro che possono tenere testa con maggiore vigore all’invadenza del potere.
E da queste masse oppresse si solleva un gemito profondo, che si eleva progressivamente fino a raggiungere l’acutezza di un grido disperato. E’ questa l’espressione di una sofferenza indicibile.
Dove qualcuno urla per il dolore o si dibatte nell’ingiustizia, là, per un drammatico paradosso, inizia la liberazione.
Qui comincia il cammino di liberazione.
Ma qui comincia anche il deserto. Perché la libertà è un mestiere difficile che si impara attraverso tutta una serie di esperienze, all’interno delle quali il deserto svolge la funzione pedagogica decisiva. Il deserto è il vero maestro di libertà. La terra promessa comincia da qui. Se non diventi libero nel deserto, qualunque luogo, anche quello in cui scorre latte e miele, sarà per te un inferno.
In verità, man mano che ci si inoltra nel deserto, è sempre più facile essere colti dal desiderio di tornare alle certezze che, nonostante tutto, la schiavitù garantiva. E si scoprono tutti i rischi e le incertezze della libertà. Il deserto di presenta con tutte le sue insidie, con i suoi orizzonti sconfinati e perciò terrorizzanti, con la sua aridità mortale. E’ in questa situazione di estrema precarietà che però si fa strada una nuova consapevolezza: ora si è liberi di imparare giorno per giorno, di prendere in mano la propria vita per cercare di realizzare i propri sogni e non più quelli degli altri su di noi. Liberarci e così liberare il mondo intero.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here