bacchettadi Saverio Pazzano

 

La non-riforma della scuola secondo Renzi è stata salutata con due opposte modalità: da un lato l’esaltazione per la soluzione finale al problema dei precari della scuola; dall’altro l’esplicito riferimento ad una deportazione di lavoratori dal sud al nord d’Italia. Senza scendere nel complesso sistema di fasi di assunzione – interessante forse solo per gli addetti ai lavori, forzati o meno – va detto comunque che l’algoritmo misterioso, che ha governato la mobilità del personale per tutta la Penisola, ha nel frattempo disgregato famiglie (naturali, s’intende!) e trasferito dal Sud al Nord centinaia e centinaia di insegnanti. Il tempo ha chiarito che i posti al Sud c’erano, ma sono stati assegnati in una ulteriore fase, a emigrazione avvenuta. Successi della burocrazia. Del resto per molti questo sarà l’ennesimo incidente, tutto sommato giustificabile in un quadro più ampio e comunque risolutivo di un precariato annoso e grave. Come si dice: vittime accidentali. In realtà questa è l’ennesima prova di come anche il sistema culturale, per natura resistente, anzi produttore di resistenza, sia ormai   completamente asservito  ad un sistema che antepone il lavoro alla dignità e che agisce senza una prospettiva di lungo sguardo. In altre parole: la logica che “il lavoro è lavoro” e non bisogna lamentarsi quando arriva a costo di trasferimenti e sacrifici ingenti, è la stessa logica che ha determinato il degrado economico e culturale del Meridione, riproduzione in sedicesimi di quanto avviene su scala globale.

E’ la sistematizzazione di un Esodo, garantito da rapporti di opportunità e di ignoranza. La tacita decisione che esitano dei centri e delle periferie, che nei primi si produca e nei secondi si mantengano privilegi e rendite. Il fatto che esistano così tante cattedre libere al Nord è segno di un lavoro che pochi vogliono fare, eccetto chi è messo alle corde dalla disoccupazione e da un contesto, quello meridionale, ricco forse negli affetti ma complessivamente opprimente. Il mestiere di insegnante sostituisce quello dell’operaio alla catena produttiva: ieri era la Fiat, oggi è il Ministero dell’Istruzione. Ieri operai, oggi insegnanti. Cambia poco, il processo è straordinariamente simile: una massa di disoccupati si sposta per svolgere un lavoro che, per il rapporto tra fatica e guadagno, è poco ambito in contesti più ricchi. Ieri a produrre automobili, oggi a produrre nuovi quadri dirigenti o a gestire il gestibile in contesti in cui si agitano le contraddizioni di una produttività che genera sempre più esclusi.

Non siamo però davanti all’ennesima accusa di Piemontesizzazione, un Nord in fermento e avido che opprime e froda il povero Sud. Qui si parla di un’intera classe intellettuale che ha abdicato a se stessa, che non è riuscita a pensarsi al di fuori di un meccanismo precariato-assunzione, risolvendosi ad essere operaia specializzata del comparto istruzione. Un’intera classe incapace di riconoscersi un ruolo e uno scopo che non siano quelli dai toni demagogici i cui ha ben affondato i denti Renzi. Che ha avuto vita facile, utilizzando la solita strategia del dileggio: “ Li vedete i piagnoni? Non sono mai felici. Eccoli lì, con tre mesi di ferie a difendere i loro privilegi”. Il fallimento della scuola è proprio quello di un mestiere intellettuale autoridottosi – e conseguentemente trattato- a dimensione e a mansione impiegatizie. In questo la Buona Scuola è l’atto conclusivo: risolta la questione del precariato, che volete più?

Dalla Buona Scuola noi calabresi apprendiamo che la ‘ndrangheta si contrasta con le marce e i comizi, non con l’istruzione. Piuttosto che rafforzare in presenze e qualità i presìdi scolastici e culturali del territorio calabrese, si è preferito guardare la questione da una prospettiva alla Tetris: posti vuoti, posti da riempire. La miopia consiste nell’aver consentito l’esodo coatto di migliaia di intellettuali –a loro volta ignari di esserlo. E’ la lenta e inesorabile dismissione di una terra in cui trionfa la retorica, in cui i cambiamenti sono spot o iniziative isolate. Impegnati ad osservare la questione del precariato della scuola come un problema di assunzioni a tempo indeterminato, abbiamo rinunciato a pretendere un destino diverso per migliaia di giovani calabresi. Abbiamo rinunciato a pretendere che in quel centro montano, o in quella periferia difficile, anziché un insegnante ce ne fossero cinque. Perché che la corruzione e l’ingiustizia si combattono con un esercito di maestri, lo dicono sempre i politici e gli intellettuali. Ma lo dicono soltanto, mentre l’esercito fa le valigie e prenota voli lowcost.

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