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di Saverio Pazzano –

Quello che rende forte la ‘ndrangheta è la presenza dello Stato nell’assenza dello Stato. Un sistema complesso e articolato in cui, ad ogni diritto e servizio dei quali i cittadini non possono godere, corrisponde un referente politico, istituzionale, amministrativo o altro, in grado di dare una risposta al bisogno. In modo esponenziale e patologico la ‘ndrangheta si replica attraverso quel modello di rete amicale e familiare che al Sud è l’unico vero welfare; una dinamica positiva diventa il vettore – meglio: l’approccio culturale- della corruzione e dell’amoralità diffuse.

Lo Stato ha la sua principale epifania nelle funzioni di vigilanza e/o repressione. Questo è lo Stato presente. E questo è lo Stato assente: nell’istruzione, nella sanità, nelle politiche del lavoro, nell’assistenza e nei servizi al cittadino…

Chi nasce e vive al parallelo trentotto, in terra calabra, sa che potrà ben vivere -e felice- purché abbia, per ventura, una rete di conoscenze che possano aiutarlo in ogni momento della sua vita: per una pratica in ufficio; per una visita medica; per la sistemazione di un tratto di strada; per una perdita d’acqua; perfino per un loculo al cimitero… Dalla nascita alla morte tutta la vita sarà inserita in questo modello culturale. Un abito mentale che rende sempre più estesa quell’area grigia in cui il sistema ‘ndrangheta è tanto contiguo da risultare indistinguibile. L’unico discrimine è il presupposto etico di chi fa o riceve il favore: che il gesto sia di semplice e puro affetto, o si inserisca in un più ampio criterio di corruzione, è un fatto puramente personale. Quel che conta è che un diritto è sempre fruito come un privilegio. La sorte il caso la tyche.

Ed ecco che lo Stato manifesta la sua presenza con il funzionario, il politico, il medico, l’insegnante che possono darti la dritta giusta, correggere per te quell’errore di sistema, accordarti quel diritto che è tuo e mai nostro. Che tu sia un puro e voglia ottenere qualcosa per il bene comune o sia un farabutto che voglia qualcosa per un tuo tornaconto illegittimo, la domanda sarà la stessa: chi conosco in quell’ufficio, che possa darmi una mano? La presenza del singolo in grado di incontrare un bisogno è la dichiarazione di assenza dello Stato. La sensazione è quella di essere collocati in un contesto vischioso, di poterne finire impregnato per un nonnulla, di essere sempre alla posizione liminare tra il possibile bene e il probabile male. Una sorta di consumismo, con cui, anche a volerci vivere contro, devi fare i conti dal di dentro. Come se ne fossi parte.

Ecco perché tutti i proclami di cambiamento -nelle convenzionali espressioni politiche- sanno di posticcio, anche quelli più sinceri e genuini. Perché non partono da una disamina in grado di sovvertire quest’ordine innaturale delle cose. Non pretendono più scuole, più servizi, più lavoro, non pretendono un piano strategico di rivoluzione culturale, non sono in grado di immaginarlo: rabberciano il rabberciabile, dall’alto di migliaia di voti che, per il sì o per il no, sono voti che vengono da questo sistema, da questo contesto. Le ascese roboanti di giovani volti, a tutti i livelli e  soprattutto a livello regionale dove si viaggia su alti numeri, odorano di voti vecchi. Fino a prova contraria. Fino a quando il “restate, non partite!”, rivolto agli emigranti in incubazione neodiciottenni, non verrà da una chiara denuncia di questa vischiosità in cui tutti si trovano: buoni e cattivi.

In Calabria la buona borghesia mantiene se stessa grazie alle buone relazioni, una larga fetta della popolazione annaspa alla ricerca del contatto giusto, del referente che potrà risolvere un problema. In questo spazio sa inserirsi l’immaginario mafioso. Il tipo di italiotto alla Sordi, tronfio e spregiudicato grazie alle conoscenze, pare aver fatto tana in questo alluce d’Italia: è più apparentemente amichevole, eppure più barbaro, violento, preparato, organizzato, nascosto, pericoloso. Le mani sulla città hanno questa densità permeante. Dirselo, scriverlo e ricordarselo sempre è l’unico modo per tenere pulite le proprie. Ma non in tasca.

 

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