journal

di Alessio Magro –

Chi controlla il controllore? Il gioco dei pesi e contrappesi è uno degli argomenti forte dei sostenitori della democrazia occidentale. Come in un orologio complesso, sembra basti regolare qualche rotella per riportare le lancette all’ora esatta. Per di più, i fedeli del liberalismo, di tutti i colori, credono nella magia del riequilibrio automatico: come una nave tra le onde, il sistema sarebbe capace di riassestarsi da sé. Tra i meccanismi regolatori più gettonati, si assegna alla stampa il ruolo principe di sentinella della democrazia. Paroloni che in realtà spesso restano sulla carta, nemmeno stampata: quando l’informazione si pone arbitrariamente al di sopra della contesa, infatti, si possono generare dei cortocircuiti molto pericolosi.

È quel che accade in Calabria, con il moltiplicarsi delle inchieste choc su sprechi e clientele nel mondo dell’antimafia. Per carità, alcune indagini scoperchiano situazioni indecenti, ma è il metodo a lasciare oltremodo perplessi. Partiamo dal risultato: nessuno crede più nell’antimafia. Comunque la si pensi, è questo un fallimento che peserà per lungo tempo sul destino di una terra già martoriata. Una sconfitta che porta senza dubbio al rafforzamento della ‘ndrangheta in punta allo Stivale, ma anche e soprattutto nel resto d’Italia.

LE DONNE DI SAN LUCA. Il “la” lo ha dato l’inchiesta che ha colpito Rosi Canale e il suo Movimento delle donne di San Luca: a quanto pare si spendevano i fondi in beni personali. In attesa del verdetto definitivo, va detto che si sarebbe dovuto gestire il caso in ben altro modo. Innanzitutto avvertendo gli ingenui organizzatori del Premio Borsellino, che a una settimana dal suo arresto hanno premiato proprio la Canale per il suo impegno antimafia! Un autogol da incubo. Sarebbe stato opportuno evitare che gli schizzi di merda ricadessero su chi davvero si sporca le mani tutti i giorni.  Come? È stato fatto ad esempio nella gestione delle indagini su Mafia Capitale: quando possibile, i dirigenti delle associazioni antimafia lambiti dall’inchiesta sono stati costretti a dimettersi, senza dar fiato alle trombe, proprio per evitare che l’intero movimento pagasse per colpe di una singola persona o di una singola realtà.

IL MUSEO DELLA ‘NDRANGHETA. In premessa, chi scrive mette in chiaro che stima Claudio La Camera e chi oggi porta avanti l’Osservatorio sulla ‘ndrangheta, realtà che ha ereditato onori e oneri dell’immaginifico Museo. Ciò per chiarire che non è una verità rivelata quella che si vuole proporre, ma un ragionamento e degli strumenti di comprensione. Innanzitutto occorre dire che la principale contestazione mossa a La Camera è relativa all’aver percepito affidamenti diretti da parte della Regione Calabria e soprattutto della Provincia di Reggio Calabria. In effetti il Museo è stato a lungo una sorta di organismo paraistituzionale. Si fa a gara a rivendicare l’impegno concreto delle istituzioni e quando scendono in campo, spendendo dei soldi, sembra che dia tanto fastidio il fatto che i bei fondi pubblici non vengano più distribuiti a pioggia. Si può essere d’accordo o meno, così come si può bocciare la decisione di La Camera di collaborare con l’ex governatore di centrodestra Giuseppe Scopelliti, legittimandone l’operato, ma si tratta di giudizi puramente politici che non hanno necessariamente a che fare con delle responsabilità penali. Ci saranno pure delle incongruità amministrative nei conti dell’Osservatorio, ma di solito per eccesso di velocità si paga una multa, non indaga mica la Dda: fa davvero male doverlo sottolineare, un giudice antimafia non dovrebbe occuparsi di polli di plastica e cibo per cani, ma di ben altro.

RIFERIMENTI. È davvero difficile difendere certe trovate di Adriana Musella, leader di Riferimenti, come ad esempio la triste Settimana bianca antimafia, ma anche in questo caso le puntuali inchieste dei puntuali giornalisti e dei puntualissimi direttori sembrano quantomeno forzate. Ci potrà essere una questione etica, è vero, ma è il caso di sollevare un polverone che ha effetti nefasti sulla tenuta democratica del movimento antimafia? Non ci sono davvero altri modi per portare avanti una questione morale ed una etica all’interno del fronte antimafia?

Il punto non è stabilire se sia legittimo scrivere delle magagne, o presunte tali, del mondo antimafia – nessuno è al di sopra dei sospetti e i bavagli all’informazione non hanno senso – ma si tratta di chiarire come si pone il mondo dell’informazione su una questione di tale importanza. Occorrerebbe mettere in chiaro l’obiettivo di una campagna mediatica sull’antimafia, condividendo con il lettore la strategia da utilizzare e i mezzi da impiegare. E occorrerebbe soprattutto non porsi al di sopra della contesa, mettendo in chiaro la posizione della propria realtà editoriale nel mondo dell’informazione in cui opera: da chi sono finanziati questi organi, quali sono i loro rapporti con il mondo economico e con quello della politica? Ciò non è stato fatto, ovviamente.

Non prendiamoci per il culo, signori: gli editori puri sono un miraggio, chi opera nell’editoria lo fa per un tornaconto diverso dal profitto tout court. Ogni scandalo giornalistico va letto dunque alla luce del contesto, ogni caso ha una madre e un padre, mira a ottenere un risultato che solo raramente ha a che fare con l’amore della verità.

E i giornalisti? Quasi sempre si limitano a eseguire i compiti assegnati. La linea di difesa dei funzionari nazisti, pronti a giustificare il proprio operato trincerandosi dietro gli ordini ricevuti, non può valere per i cronisti. Soprattutto perché questi ordini non si capisce chi sia a darli.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here