ciao

di Elena Trunfio – (foto di Alessandro Mallamaci) –

 Nelle ultime due settimane Reggio è stata sotto i riflettori: il Museo Nazionale è finalmente visitabile nella sua interezza, è stata inaugurata la nuova sede espositiva del “Palazzo della Cultura”, sono di nuovo in mostra le opere d’arte sequestrate a Gioacchino Campolo e piazza Garibaldi scopre uno dei mille volti della città antica. Sembra quasi che ci si stia scrollando di dosso il torpore degli ultimi anni, e che una nuova stagione sia pronta a dare forme e colori nuovi al grigiore consolidato. Ma proviamo a fare una riflessione più ampia.

In un paese di “poeti, di artisti, di eroi”, la cenerentola Reggio Calabria fatica ancora a trovare una sua dimensione nel complesso mondo della Cultura. Al di là dei grandi eventi che ridonano la speranza e la fama mediatica spendibile in azioni propagandistiche, per capire il valore della cultura bisognerebbe forse interrogarsi sulla sua utilità. A cosa e a chi dovrebbe servire la cultura? La risposta più ovvia che si dà in Italia è che essa è il nostro petrolio, il carburante con cui far girare il motore del turismo, considerato panacea di tutti i mali economici del Paese. Ma la cultura è davvero solo funzionale alla promozione turistica?

Francamente ne sono poco convinta e forse, per abbattere i muri dell’ovvietà, bisognerebbe ribaltare la prospettiva. Credo infatti che la cultura debba servire prima di tutto alla cittadinanza. Il capitale culturale del nostro Paese non può essere costituito solo dalle “belle arti” di cui tanto ci vantiamo, ma deve necessariamente comprendere il talento, l’intelletto, la memoria, la capacità dei cittadini. In quest’ottica diviene prioritaria la redazione di un’offerta culturale di qualità che possa stimolare la cittadinanza attraverso spunti e stimoli diversi, imponendo loro un approfondimento sempre maggiore e più complesso. Un’offerta culturale che esca dal provincialismo della sagra e della rassegna locale per aprirsi ad una dimensione nazionale, di più larga prospettiva. Se la cultura è l’arma più efficace di cui dispone un popolo, sicuramente ha bisogno di cartucce esplosive, non di essere caricata a salve.

Se questa è l’utilità della cultura, emerge subito la grave mancanza cui siamo sottoposti in questa città. È vero che si stanno moltiplicando le iniziative, ma nella maggior parte dei casi il numero degli eventi cresce in maniera proporzionalmente inversa alla qualità e le rassegne culturali sono spesso un’accozzaglia di piccoli progetti, proposti quasi sempre da operatori culturali della domenica.

Bella l’idea della partecipazione cittadina alla progettazione dell’offerta culturale, bella l’idea di valorizzare i reggini e metterli in mostra, bella l’idea di finanziare la promozione dei prodotti locali, ma il fatto di vivere ed essere nati in una città non può e non deve essere l’unico requisito per dire la propria in fatto di cultura, non può e non deve essere sinonimo di talento. Mi lasciano abbastanza perplessa mostre d’arte di chi ha l’hobby per la pittura, stagioni teatrali affidate a compagnie amatoriali, mostre fotografiche con gli scatti della gita in montagna e così via. Se lo scopo dell’arte è l’educazione, questi eventi quale messaggio fanno passare? In che modo contribuiscono ad accrescere il patrimonio culturale della città? Continuando a fare cultura armandosi esclusivamente della buona volontà e mortificando i professionisti a favore degli amatori, quale messaggio si sta offrendo? Il volontariato è sicuramente una grande risorsa per la solidarietà sociale, ma non può essere un alibi e la promozione della cultura non può essere esclusivamente appannaggio di un pubblico di non addetti. È necessario insegnare la bellezza alla gente per fornirle un’arma contro rassegnazione, paura e omertà, diceva Impastato, ma troppo spesso in questa città si continua a insegnare che la professionalità e la qualità sono valori approssimativi e insignificanti.

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