di GiaFORTUNATO DEPERO  "TORNIO E TELAIO" *** Local Caption *** 00062966nluca Romeo.

Nei terribili anni Trenta del secolo scorso, Ernst Jünger, nell’opera DerArbeiter, delineava la figura del lavoratore non come categoria socio-economica ma nella sua forma metafisica. L’Operaio, come vuole la traduzione più essenziale del titolo, secondo lo scrittore tedesco, sarebbe stata la figura chiave della nuova età a-venire, quella coincidente con il dominio planetario della tecnica.  Si prefigurava, dunque, un’era che avrebbe esteso il concetto di mobilitazione totale, utilizzato per definire quanto accaduto nel corso della Grande Guerra, anche al tempo post-bellico, caratterizzato da una pace apparente. Qualche anno prima GyörgyLukács, da una prospettiva filosofica marxista, quindi diametralmente opposta a quella di Jünger, raccoglieva alcuni dei suoi saggi più importanti sotto il titolo di Storia e coscienza di classe. Accusato a lungo di deriva idealistica, il filosofo e critico ungherese, a differenza dello scientismo deterministico del marxismo ufficiale, poneva l’accento sulla progressiva consapevolezza del proletariato di arrivare a concepirsi come classe sociale e, dunque, alla comprensione della sua funzione rivoluzionaria. Non a caso Lukács aveva inserito, nel titolo dell’opera, il termine “coscienza” accanto a quelli, più tradizionali secondo i canoni marxisti, di “storia” e “classe”.

Oggi, questi testi pur fondamentali, risultano di difficile lettura. Non tanto per l’infondatezza delle loro tesi, sebbene alcune di esse siano decisamente contestabili, quanto piuttosto per la nostra incapacità strutturale, spesso involontaria, di saper leggere la realtà secondo determinate categorie, assuefatti come siamo allo status quo. In particolare è chiara la nostra impossibilità di concepire una qualsivoglia unitarietà della classe lavoratrice; men che meno è pensabile che il lavoratore stesso giunga ad un’autocoscienza della propria condizione e, di conseguenza, non è plausibile determinare il passo successivo, quello dell’acquisizione di una coscienza collettiva o, come avrebbe detto Lukács, di classe. Inoltre, seguendo Jünger, lo strapotere della tecnica si è esteso totalmente alla dimensione lavorativa e all’organizzazione del tempo libero, ma ha portato a compimento anche un altro processo, tramutando l’essenza stessa della Politica in un puro esercizio tecnocratico. Risulta anche vero, però, che, nella sua estrema declinazione tecno-logica, la tecnica planetaria non è più in grado di realizzare a pieno la mobilitazione totale dal punto di vista dell’occupazione; emblematico è il caso dei processi intensivi di informatizzazione, divenuti causa di elevati tassi di disoccupazione, soprattutto nel cosiddetto mondo occidentale.

L’atomizzazione del lavoro post-fordista, la deregolamentazione giuridica delle forme di tutela e di assistenza ai lavoratori, hanno contribuito enormemente alla distruzione di una coscienza comune dei e fra i lavoratori. In tutte le tecnocrazie occidentali si palesa un regresso dal terreno dalle conquiste più avanzate in campo sociale e giuslavoristico realizzate nel Novecento, ad uno spazio che potremmo definire “impolitico” in senso pre-moderno, simile a quel bellum omnium contra omnes di hobbesiana memoria. È nella divisione, non solo del lavoro ma dei lavoratori, che nasce, cresce e si alimenta, razionalmente, giuridicamente e scientificamente, il ricatto. Il ricatto avviene certamente per mera necessità, quindi consegue da una struttura materiale economica, ma è, al contempo una categoria ontologica, la modalità più propria dell’essere del lavoratore nel nostro mondo. Potremmo certamente affermare, con una certa facilità e senza timore di smentita, che il ricatto è il sistema per tenere sotto scacco il lavoratore, ma vi è certamente di più. Il ricatto è l’arma per distruggere ogni residuo coscienziale dell’essere lavoratore in una comunità, per una comunità, al servizio della comunità. Il lavoro, oggi, non viene percepito come contributo alla crescita sociale ma risulta, esclusivamente ed inconsciamente, funzionale ad alimentare un mercato de-localizzato, percepito ormai come sempre più distante, se non addirittura invisibile. Lasciato solo suo privato self-interest, perdendo la sua stessa essenza e la percezione della dimensione dell’alterità che ogni attività porta necessariamente con sé, il lavoratore oggi rappresenta l’essenza stessa della distruzione sociale operata dal nichilismo. Questo processo nichilista giunge a compimento superando le classiche categorie della modernità, sia il concetto di “classe” determinato dal punto di vista politico, ma anche gli assunti capitalistico-teologici weberiani che avevano segnato, secondo il filosofo tedesco, la nascita del capitalismo moderno. Di fronte al mero ricatto alimentante se stesso, il lavoro perde ogni finalità terrena ed ultraterrena. La logica del ricatto spossessa l’essenza stessa dell’uomo dal suo essere più proprio, che è la libertà sia in senso materiale sia in quanto autodeterminazione in libera coscienza. L’esserci come possibilità si rovescia nel mero esserci come necessità. Ma il processo nichilistico del ricatto, che sembrerebbe agire secondo la classica coppia hegeliana servo-padrone, in realtà va oltre. Quello che tradizionalmente viene indicato come il padrone e che opera secondo la logica del ricatto, è esso stesso agito (senza che questo lo giustifichi) in nome di un processo che, per mantenersi in vita, si autoalimenta e lo mette al servizio (in quanto servo sciocco) della tecnica economica. A cosa sarebbero funzionali le crisi economiche se non all’eliminazione del diritto al lavoro e ad una ristrutturazione-purificazione nella quale una nuova e più avanzata forma di ricatto e sfruttamento inabissa quella precedente, ormai inadeguata?

P.S., secondo la scienza giuridica esisterebbe (?) e sarebbe finanche codificato il Diritto del Lavoro. Il che riporta a quell’enorme, attualmente incolmabile, scarto fra Legge (diritto in senso tecnico) e Giustizia (diritto in senso Politico). Quale migliore indice della povertà dei nostri tempi quello di un Diritto concepito solo in senso tecnico e non più orientato dalle categorie del pensiero?

 

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