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  • – di Pier Paolo Pasolini –

 Era nel mondo un figlio

                                               e un giorno andò in Calabria

                                               era estate, ed erano

                                               casupole,

                                               nuove, a pandizucchero,

                                               da fiabe di fate color

                                               delle feci. Vuote.

Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne. Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio

scuoteva paglia nera

come nei sogni profetici:

e la luna color delle feci

coltivava terreni

che mai l’estate amò.

Ed era nei tempi del figlio

che questo amore poteva

cominciare, e non cominciò.

Il figlio aveva degli occhi

di paglia bruciata, occhi

senza paura, e vide tutto

ciò che era male: nulla

sapeva dell’agricoltura,

delle riforme, della lotta

sindacale, degli Enti Benefattori,

lui. Ma aveva quegli occhi.

 

La tragica luna del pieno

sole, era là, a coltivare

quei cinquemila, quei ventimila

ettari sparsi di case di fate

del tempo della televisione,

porcili a pandizucchero, per

dignità imitata dal mondo padrone.

Ma non si può vivere là! Ah, per quanto ancora, l’operaio di Milano lotterà; con tanta grandezza per il suo salario? Gli occhi bruciati del figlio, nella luna, tra gli ettari tragici, vedono ciò che non sa il lontano fratello

settentrionale. Era il tempo

quando una nuova cristianità

riduceva a penombra il mondo

del capitale: una storia finiva

in un crepuscolo in cui accadevano

i fatti, nel finire e nel nascere,

noti ed ignoti. Ma il figlio

tremava d’ira nel giorno

della sua storia: nel tempo

quando il contadino calabrese

sapeva tutto, dei concimi chimici,

della lotta sindacale, degli scherzi

degli Enti Benefattori, della

Demagogia dello Stato

e del Partito Comunista…

 

…e così aveva abbandonato

le sue casupole nuove

come porcili senza porci,

su radure color delle feci,

sotto montagnole rotonde

in vista dello Jonio profetico.

Tre millenni svanirono

non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell’aria malarica 1’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano, lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?

Quasi come un padrone.

Ti porterebbero su

dalla loro antica regione,

frutti e animali, i loro

feticci oscuri, a deporli

con 1’orgoglio del rito

nelle tue stanzette novecento,

tra frigorifero e televisione,

attratti dalla tua divinità,

Tu, delle Commissioni Interne,

tu della CGIL, Divinità alleata,

nel meraviglioso sole del Nord.

 

Nella loro Terra di razze

diverse, la luna coltiva

una campagna che tu

gli hai procurata inutilmente.

Nella loro Terra di Bestie

Famigliari, la luna

è maestra d’anime che tu

hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. (Se egli non sorride

è perche la speranza

per lui non fu luce ma razionalità.

E la luce del sentimento

dell’Africa, che d’improvviso

spazza le Calabrie, sia un segno

senza significato, valevole

per i tempi futuri!) Ecco:

tu smetterai di lottare

per il salario e armerai

la mano dei Calabresi.

 

Alì dagli Occhi Azzurri

uno dei tanti figli di figli,

scenderà da Algeri, su navi

a vela e a remi. Saranno

con lui migliaia di uomini

coi corpicini e gli occhi

di poveri cani dei padri

sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sé i bambini, e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.

Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,

a milioni, vestiti di stracci

asiatici, e di camice americane.

Subito i Calabresi diranno,

come malandrini a malandrini :

“Ecco i vecchi fratelli,

coi figli e il pane e formaggio !”

Da Crotone o Palmi saliranno

a Napoli, e da lì a Barcellona,

a Salonicco e a Marsiglia,

nelle Città della Malavita.

Anime e angeli, topi e pidocchi,

col germe della Storia Antica,

voleranno davanti alle willaye.

 

Essi sempre umili

essi sempre deboli

essi sempre timidi

essi sempre infimi

essi sempre colpevoli

essi sempre sudditi

essi sempre piccoli,

essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,

essi che si costruirono

leggi fuori dalla legge,

essi che si adattarono

a un mondo sotto il mondo

essi che credettero

in un Dio servo di Dio,

essi che cantarono

ai massacri dei re,

essi che ballarono

alle guerre borghesi,

essi che pregarono

alle lotte operaie…

 

…deponendo 1’onestà

delle religioni contadine,

dimenticando l’onore

della malavita,

tradendo il candore

dei popoli barbari,

dietro ai loro Alì

dagli Occhi Azzurri — usciranno da sotto la terra per rapinare — saliranno dal fondo del mare per uccidere, — scenderanno dall’alto del cielo per espropriare — e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita —

per insegnare ai borghesi

la gioia della libertà —

per insegnare ai cristiani

la gioia della morte

— distruggeranno Roma

e sulle sue rovine

deporranno il germe

della Storia Antica.

Poi col Papa e ogni sacramento

andranno come zingari

su verso l’Ovest e il Nord

con le bandiere rosse

di Trotzky al vento…

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