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  • di Domenico Mediati –

Tra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948 l’Assemblea Costituente scrive le regole fondanti della Repubblica italiana. La nuova Costituzione risente inevitabilmente delle brucianti umiliazioni inflitte da un regime autoritario, con la complice leggerezza di un popolo cieco e incline alle ubriacature populiste. Le norme approvate pongono mirati contrappesi istituzionali che, tra gli anni ’70 e ‘90, serviranno ad arginare concreti tentativi di sfondamento autoritario: evidente testimonianza che i costituenti avevano lucidamente visto in prospettiva.

I pericoli per una corretta vita democratica non vengono solo da un remoto passato. La ventennale stagione del populismo berlusconiano che ha trascinato masse di elettori aveva un suo carattere non meno eversivo sul piano culturale. L’attuale Costituzione ha posto paletti anche a questo.

Autoritarismo strisciante e populismo cieco e irrazionale sono una costante storica della cultura (o incultura) del nostro Paese. Ancora oggi il panorama politico è ricco di germi che alterano un corretto rapporto democratico: etica a geometrie variabili, repulsione per le regole, attrazione per ogni banalizzazione populista ne sono un’evidente dimostrazione. Il passato non è ancora sepolto! Oggi il male italiano sembra allargarsi anche a quella parte dell’occidente democratico che, fino a qualche anno fa, ne sembrava immune.

La riforma costituzionale Boschi-Renzi-Verdini nasce da obiettivi condivisibili: la necessità di accelerare l’iter legislativo e di mettere il governo al riparo da ricatti di piccoli gruppi o di singoli parlamentari per ottenere vantaggi personali o di casta.

La Costituzione, pertanto, è indubbiamente riformabile. La direzione del processo di riforma, però, non è indifferente, così come non sono trascurabili metodologie, motivazioni e competenze dei soggetti che partecipano al processo costituente.

Il risultato ottenuto non è frutto di un lavoro corale e condiviso del Parlamento e non sarà mai accolto da un’ampia maggioranza dell’opinione pubblica (qualunque sia il risultato del referendum). La Costituzione non è una legge ordinaria! Saggezza vorrebbe che essa non fosse imposta da una minoranza politica, artificialmente trasformata in maggioranza parlamentare da un sistema elettorale dichiarato incostituzionale. Minare il principio di identificazione tra ampie masse della popolazione e Istituzioni che le rappresentano, crea tensioni ingiustificate e pericolose.

Quando il compromesso avviene tra interessi oscuri piuttosto che tra aspirazioni legittime, allora può accadere di approvare un ibrido costituzionale che non abolisce il Senato (come sarebbe anche possibile pur di mettere in atto adeguati contrappesi istituzionali) ma lo depotenzia in maniera ambigua e incomprensibile. L’articolo 70 del nuovo testo, che disciplina le competenze del nuovo Senato, si esprime in un italiano fumoso e burocratico che, a detta dei massimi costituzionalisti, determinerà infiniti conflitti di attribuzione.

Quando le idee sono confuse anche il linguaggio ne risente. I padri costituenti del 1948 chiamarono alcuni letterati a rivedere la Costituzione da loro elaborata. Lo scrittore Pietro Pancrazi, il saggista Antonio Baldini e il latinista Concetto Marchesi revisionarono il testo per renderlo immune da conflitti interpretativi e comprensibile anche dal popolo. Una sensibilità opposta a quella attuale che, al contrario, sembra ritenere le Istituzioni come “proprietà privata” di pochi addetti ai lavori.

Ne deriva uno scenario in cui il Parlamento appare notevolmente depotenziato, tra deputati asserviti al leader del partito vincente e potenziali conflitti di competenza legislativa. L’esecutivo, di conseguenza, risulta estremamente rafforzato con enormi poteri di persuasione sugli eletti e senza prevedere contrappesi istituzionali adeguati.

Ciò che il fronte del SI sembra non considerare è l’ipotesi che il PD possa non vincere sempre.

Siamo certi che questa nuova macchina istituzionale se messa in mano ad uno qualsiasi dei nuovi populismi che affollano il Paese e il panorama internazionale non possa provocare danni irreparabili?

È questo il momento storico adatto per abbassare le difese immunitarie del nostro malconcio sistema democratico?

Il dilettantismo ambizioso di Renzi e Boschi e l’opportunismo interessato di Verdini e Alfano sembrano non accorgersene. Eppure, quest’improponibile armata politica corre il rischio di deformare i fondamenti istituzionali su cui viaggerà l’Italia dei prossimi decenni.

Ciò che rende ancora più indigesto lo scenario attuale è che, se tale progetto confusionario e potenzialmente autoritario sarà respinto, lo si dovrà ad un’altrettanta improbabile convergenza tra fini e dotti costituzionalisti e i molteplici populismi che affollano il panorama politico.

Comunque finisca, sarà una sconfitta!

È questo il danno maggiore della stagione renziana: aver diviso la platea più ragionevole di questo Paese. Quella che, dopo la sbornia berlusconiana, ha inutilmente sperato in una politica sobria ed equilibrata, capace di attrarre consenso proponendo progetti politici di ampio respiro, disponibile ad ascoltare e valorizzare le competenze. Una politica lontana da gretti opportunismi, dal tornaconto personale o di casta e che rifiuta i tifosi di partito per privilegiare cittadini appassionati che condividono un orizzonte comune.

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