dyi

 

di Simone De Maio –

Negli ultimi anni la musica è stata utilizzata  dai numerosissimi talent show, i quali non hanno fatto altro che proporre una cultura musicale statica e canonizzata in un Pop caratterizzato da sonorità semplici e tonalità che ormai appaiono uniformi e quasi indistinguibili tra loro. A ciò si accompagnano  testi banali, scritti appositamente per artisti che hanno il solo e unico compito di offrirli a un pubblico che li recepisce acriticamente e il cui scopo principale è  facilitare la vendita del prodotto delle major.
Siamo di fronte alla mercificazione degli artisti e della musica. Il comandamento di questo nostro tempo è quello di vendere un prodotto che sia di largo consumo senza porre attenzione a cosa l’artista possa o voglia esprimere e trasmettere con i propri testi e/o musica.
C’è da rilevare che però nel sostrato permane un piccolo bagliore d’indipendenza che continua, circa dal 1980, a mantenersi tale grazie al cosiddetto “D.I.Y.” acronimo di Do It Yourself,  che può essere tradotto in italiano come “Fattelo Da Solo”, per il quale tutto ruota intorno all’autoproduzione. È un movimento che rifiuta il consumismo rappresentato dalle grandi case discografiche e che, invece, predilige le piccole etichette.
Su questo movimento è stato girato un interessante documentario, composto da varie interviste, dal titolo “D.I.Y. or Die: How to Survive as an Independent Artist” con Lydia Lunch, Ian Mackaye(The Teen Idles, Minor Threat, Embrace e Fugazi), J. Mascis(Dinosaur Jr), Mike Watt(Minuteman), Ron Asheton(The Stooges) e molti altri.
Sviluppandosi in America, madre del neoliberalismo e del consumismo, durante la presidenza Ronald Reagan , tale movimento ha condotto  alcuni teenager  a  industriarsi con al realizzazione e gestione  di  piccole etichette. Esemplare in questa direzione è stata  la Dischord Records di Ian Mackaye e Jeff Nelson, che ha aperto la strada a una vera e propria controcultura che da quel momento in poi ha  iniziato  ad occupare  la scena musicale c.d. indipendente.
In Italia la musica indipendente è stata, e continua a essere, prodotta da numerosissime e piccole case discografiche indipendenti, per citarne  alcune tra le più giovani è necessario menzionare: To Lose La Track di Luca Benni, La Tempesta Dischi di Enrico Molteni(bassista dei Tre allegri ragazzi morti), Woodworm Label di Marco Gallorini e Andrea Marmorini, V4V e molte altre.
Da anni ormai queste realtà producono musica controcorrente sfidando le leggi di mercato e senza sostegni economici  propri del capitalismo e proponendo un’alternativa più che valida alla musica commerciale.
Quello della musica indipendente è un tema  complesso e ampio, per questa ragione, l’informazione sull’esistenza di una realtà, come quella dell’underground, che pochi conoscono, ha bisogno di una visuale non convenzionale e di uno strumento di diffusione ad ampio raggio.
Da questo punto di vista internet è diventato indispensabile, quale strumento di conoscenza diretta e diffusione delle scene musicali di ogni parte del mondo. Difatti riesce a mettere in contatto diretto, annullando le distanze geografiche e culturali, le varie realtà e consente una percezione diretta eliminando tutti quei muri precostruiti con cui ci si approccia quotidianamente all’altro.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here