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(Foto di Marco Costantino)

– di Dario Nunnari

I temi trattati nelle tappe precedenti ci hanno condotti a confrontarci con esodi e città, tra chi fugge, si sposta, cerca, è scacciato o ritorna, lasciando-trasformando-contaminando se stesso, gli altri e i luoghi in cui tutto avviene.
Luoghi in cui ci si misura, quindi, con la sofferenza e l’ostentazione, con il diritto ed il favore, con la bellezza e la miseria.  Luoghi con un’anima che è specchio dell’anima dei tempi.
A ben vedere sembra ci sia un filo conduttore che lega tutto ciò.
La civiltà ci ha resi  cultori dell’estetica della natura e della libertà, ma anche cinici o ingenui consacrati alla ricerca del profitto. Sempre in tensione tra il vano desiderio di una felicità individuale e immutabile e l’istinto protettivo e sospettoso verso la medesima ricerca altrui.
Alla fine gli esseri umani sono rimast imbrigliati in coordinate spaziotemporali  che li hanno accomodati, ridotti, liofilizzati, omogeneizzati.
E’ la civiltà del lavoro a scandire da secoli schiavitù e rivolta, a distribuire senza scrupolo di equità bisogni e piaceri, a lottizzare i tempi, a selezionare gli spazi, a muovere interessi e persone senza discrimine di giustizia che la trascenda.
Il principio di grossolana ma ineluttabile economia, secondo cui solo porre un limite alla ricchezza può consentire di porre limite alla povertà, è rimosso con presuntuosa facilità, puerile sogno di idealisti e sciocchi.
Restano il calcolo, l’avidità e l’ipocrisia, che declinano il lavoro nelle forme più varie, con il chiaro risultato di sacrificare la sovranità della persona, la sovranità del cittadino.
E, nella infinita varietà di ruoli, troviamo il lavoro come mezzo di riscatto e strumento di ricatto, sublime realizzazione del proprio essere e oppressione negata dello stesso, in grado di restituire dignità e di piegare l’animo più fiero all’obbedienza, capace certo di rendere liberi (al netto della mostruosa ironia nazista) ma spesso incapace di rendere felici.
Ovunque il diritto al lavoro si trasforma abilmente in estorsione, in pretesto, in inganno, costringendo a scegliere una scelta senza scelta che mette sull’altro piatto della bilancia la salute, l’inquinamento del territorio, il ribasso del salario, la rinuncia alle garanzie o agli affetti.
In un sistema che vince perché non ha bisogno di convincere, siamo però convinti che esistano alternative e che altre ne vadano cercate.
E da qui muoviamo la nostra riflessione.

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