hqdefault

 

di Pasquale Neri –

Banale. Scrivere di lavoro partendo dall’articolo 1 della Costituzione può risultare banale. Il paradosso, però, è che banale oggi può apparire il concetto stesso di lavoro; quella attività che dovrebbe consentire ad ogni cittadina e cittadino di potere vivere con dignità la propria vita all’interno di una comunità.

Ma cosa c’è di degno nel vivere una perenne ricerca di lavoro ? Per di più con la consapevolezza che il contratto (la tipologia di contratto scelta dal governo di turno) non garantisca più neanche il livello minimo perché possa essere considerato garanzia di vita degna. E scade allo scadere del vantaggio che porta in sé all’azienda (l’unica cosa certa).

Se poi abbiamo voglia di pensare alla parola lavoro e connetterla non solo al primo, ma ai primi 5 articoli della Costituzione, intrecciandoli fra loro e avendo in mente che parliamo di principi che si riferiscono alla vita delle persone, ci rendiamo conto che ad apparire banale è anche la Costituzione stessa. Con buona pace di chi ha dato la vita per averla, con malcelata gioia di chi l’ha resa carta straccia a suon di Propaganda.

Ma c’è un ambito, in particolare, in cui il lavoro potrebbe assumere, e riassumere, in sé l’alto valore a cui ogni attività umana dovrebbe aspirare, cioè garantire un minimo di benessere a chi lo esegue e a chi è rivolta. È il lavoro sociale, quello che centinaia di migliaia di operatori e operatrici svolgono ogni giorno con fatica, in favore della parte più debole delle nostre comunità. Sono la massa senza nome e senza volto di coloro che contribuiscono a rendere esigibili i diritti a milioni di persone in difficoltà, che si battono per la giustizia sociale, che chiedono territori sicuri da veleni visibili e invisibili, che rifiutano un modello di vita e di sviluppo centrato sulle dicotomie oppressori-oppressi, vincitori-vinti, ricchi-poveri.

Invece è proprio in questo settore che la parola lavoro sta perdendo di senso e di significato. Semantica ed etimologia assumono i caratteri di puro e banale elemento di studio. Niente di più. Lavoro è sempre più uguale a ricatto, precarietà, diseguaglianza, povertà, … E in questa azione di estrazione di senso e significato, si registra una unità di intenti e una sintonia tra i diversi livelli della Pubblica Amministrazione come mai si è registrata in nessun settore della vita della nostra nazione. Come? Ci soccorre la metafora della rana bollita[1] di Noam Chomsky. Per anni abbiamo accettato, quasi in religioso silenzio, che fossero messi in discussione principi e valori essenziali per la conduzione di una vita degna di essere vissuta. Lentamente, abbiamo permesso a comuni, regioni e stato centrale, che in nome di non meglio specificati principi economici e finanziari si depredassero territori, si chiudessero ospedali, si tagliassero pensioni, si riducessero risorse destinate ai meno garantiti… Si estraesse dalle nostre coscienze la linfa che alimentava idee, volontà, speranza, tenacia, capacità di sognare. Col risultato che i diritti di tutti sono diventati privilegi di pochi. Il lavoro è stato trasformato nella pentola con l’acqua che si riscalda via via. La recente riforma del Terzo Settore potrebbe trasformarsi nell’ultimo atto prima di servire la rana in tavola. Troppo tardi per saltare fuori dalla pentola? O ancora troppo impegnati a difendere ciascuno la propria isoletta, illusi dall’idea che da noi l’acqua non arriverà a bollire?

 

[1]       Il principio della rana bollita, utilizzato dal filosofo americano Noam Chomsky, fa riferimento alla Società, ai Popoli che accettando passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori, dell’etica, ne accettano di fatto la deriva. Il principio della rana bollita: Immaginate in un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto l’acqua diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda, un pò più di quanto la rana non apprezzi. La rana si scalda un pò tuttavia non si spaventa. Adesso l’acqua è davvero troppo calda, e la rana la trova molto sgradevole. Ma si è indebolita, e non ha la forza di reagire. La rana non ha la forza di reagire, dunque sopporta. Sopporta e non fa nulla per salvarsi. La temperatura sale ancora, e la rana, semplicemente, finisce morta bollita. Ma se l’acqua fosse stata già bollente, la rana non ci si sarebbe mai immersa, avrebbe dato un forte colpo di zampa per salvarsi. Ciò significa che quando un cambiamento viene effettuato in maniera sufficientemente lenta e graduale sfugge alla coscienza e non suscita nessuna reazione, nessuna opposizione.

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here