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di Domenico Rosaci –

 

Così scriveva Antonio Gramsci, negli anni ’30 del secolo scorso, nei suoi Quaderni del Carcere:
Nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate più complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e specialisti […] Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola ‘disinteressata’ (non immediatamente interessata) e ‘formativa’ o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite […] e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminate“.
Gramsci è davvero lucidamente illuminato quando individua nella scuola modernail problema dell’avviamento al lavoro, e quindi della concezione stessa del lavoro nella società attuale. Una scuola che “appare e viene predicata come democratica, mentre invece non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi”.
In Fisica, il concetto di “lavoro” si esprime con la possibilità di applicare una qualche forma di “energia” per produrre movimento. Nelle società organizzate, fin da quelle dei cacciatori-raccoglitori del paleolitico, il “lavoro umano” era inteso come l’energia, il dispendio di forze fisiche, che un essere umano doveva impiegare per “procedere” lungo la strada dell’esistenza. Per cacciare, raccogliere, procurarsi il sostentamento. Ma non solo. Se si studiano le mute quanto eloquenti rappresentazioni pittoriche nelle grotte di Altamira a Lascaux, si ha la precisa informazione che tanto l’individuo, quanto la collettività in cui è organizzato, spendano le proprie energie principalmente per integrarsi nella Natura. Integrarsi, ovvero esserne coinvolti, per trarne nutrimento tanto fisico quanto spirituale. Lottando e giocando col bosprimigenius, col cavallo, col cervo, che rappresentano al tempo stesso cibo e sacralità. E quando si osservano i complessi megalitici di Stonehenge e di Carnac, o quello ancora più straordinario di GoblekiTepe, in Anatolia, il più antico tempio creato dall’uomo, si ha la precisa impressione di cosa significasse “lavorare” in quelle antiche civiltà. Procurarsi sostentamento imparando a conoscere la Natura. Trascorrere il tempo, evolvere conoscendo.
Questo, per millenni, è stato il lavoro nelle società umane.
Poi vennero le società agricole, e il lavoro si trasformò. Non c’era più bisogno di spostarsi, per sopravvivere. Si poteva rimanere fermi, ad aspettare che la Terra, coltivata attraverso il lavoro, provvedesse a fornire il nutrimento. Un nutrimento che eccedeva anche i bisogni, per cui si poté anche “accumulare” ciò che soverchiava.
Con il granaio, nacque il concetto di ricchezza. Lavoro umano immagazzinato in prodotti agricoli, in manufatti, in oggetti che si potevano anche scambiare e commerciare. E dalla ricchezza, dallo scambio e dal commercio nacque la possibilità del potere. E il lavoro divenne quindi possibilità di acquisire ricchezza e potere.
E così, studiando le antiche tavolette sumere risalenti a cinquemila anni fa, prime testimonianze scritte di storia umana, possiamo venire a sapere come funzionavano le “scuole” di allora. Occorreva “imparare” per potere poi “lavorare”, allo scopo di migliorare la propria posizione nella scala sociale. In altre parole, allo scopo di acquisire potere, inteso come posizione di preminenza sugli altri uomini nella società. Senza conoscenza, senza scuola, si finiva per rimanere negli strati bassi della società, a lavorare non più per sé stessi.
Si finiva con il lavorare per gli altri. Come schiavi.
La conoscenza per millenni è stata intesa come la possibilità, per chi la possedeva,di vivere la propria esistenza in condizioni di privilegio, e di sfruttamento nei confronti di chi non la deteneva. Una situazione estremamente diversa da quella delle società paleolitiche, dove il lavoro, l’energia profusa, era per tutti finalizzata allo stesso scopo: vivere. Non servire.
L’invenzione del “lavoro servile” è stata fondamentale, nella costruzione delle moderne società umane. Ha consentito, ad esempio, di istituire le cosiddette “classi sociali”. E lo strumento per realizzare tale invenzione è stata la scuola, come meccanismo di trasmissione della conoscenza. I sacerdoti avevano la conoscenza. Il faraone aveva la conoscenza. I guerrieri, i navigatori, i mercanti avevano la conoscenza. Tutte queste categorie sociali poterono così gestire un effettivo potere, riducendo altri uomini a servirli, nel rango di schiavi.
La moderna organizzazione sociale umana nasce da quelle premesse, sviluppatesi negli ultimi cinque millenni. Con una evoluzione consequenziale a quelle premesse. Se la Scuola è lo strumento per acquisire potere, ne deriva che il controllo della Scuola diventa anche controllo del potere.
Per millenni quindi, le principali istituzioni sociali, Stato e Chiesa, hanno controllato la Scuola, asservendola, per potere gestire il destino degli uomini. La sorte che avrebbe condotto alcuni a permanere, o a transitare, nelle classi privilegiate, e altri a rimanere, spesso indefinitamente, nella condizione dei servi. Per millenni, la Scuola ha adempiuto al suo ruolo di strumento di controllo del potere, veicolando autentica conoscenza. Ciò è continuato ad avvenire, fintanto che la società ritenne necessario che il potere fosse affidato a chi detenesse una qualche forma di conoscenza.
Un tale meccanismo, non poteva che degenerare nella sua aberrazione. Il controllo della Scuola, da un certo momento in poi, coincidente con l’esordio del secolo XX e l’affermazione della moderna società industriale, diventa non più finalizzato a selezionare classi dirigenti, in quanto colte. Ma piuttosto a selezionare classi lavoratrici, in quanto specializzate in una qualche forma di lavoro-servitù.
Le classi dirigenti possono completamente ignorare la conoscenza. Così come risultano libere di profondere le proprie energie in ciò che li compiace e diverte. Per tali classi il lavoro è diventato solo puro esercizio di potere, svago e divertimento.
Così si arriva ai nostri tempi, al concepimento della “progressiva e magnifica” riforma della scuola pubblica, con i Licei Scientifici ad indirizzo “Scienze Applicate”, fieri di potere affermare con certezza ai propri “clienti” che “non si insegna il Latino”.
Così gli aspiranti schiavi possono essere sicuri. Avranno una formazione specialistica per schiavi. Saranno certi che non avranno mai gli strumenti per comprendere cosa stia avvenendo nella società che sfrutta le loro energie. Non avranno coscienza della propria condizione, che non sarà più nemmeno quella della bestia da soma, come ai tempi dei servi della gleba. La bestia infatti, in quanto animale, sperimenta ancora una apprezzabile vita sentimentale ed emozionale. L’aspirante schiavo sarà invece trasformato in macchina per eseguire “algoritmi”, procedure altamente specializzate che si possono portare efficacemente a termine soltanto evitando di pensare, senza chiedersi neppure a cosa servano.
Ed è necessario per il potere che gli schiavi non se lo chiedano. Scoprirebbero che quelle procedure, quel lavoro non più eseguito con le mani, con la testa e con il cuore, ma con la gelida freddezza della macchina che riempie moduli su moduli di “informazioni e dati”, in realtà serve ad una sola cosa.
A renderli servi, come mai accaduto prima, nella lunga storia dell’umanità.
Se lo scoprissero, probabilmente si ribellerebbero. Ed è per questo che non devono conoscere il latino, e magari neppure la filosofia, la storia e tutto ciò che viene dal passato. Con tali conoscenze, potrebbero sviluppare di nuovo la logica, l’intuito, e prendere coscienza del proprio stato. Potrebbero non volere più limitarsi a servire.
E ciò, per i signori del potere privato, non deve accadere. Il lavoro oggi è lo strumento di realizzazione del potere privato, ed è la negazione stessa della democrazia, che sarebbe invece potere pubblico. Lo comprese magistralmente Noam Chomsky, quando affermò: “La democrazia ha bisogno della dissoluzione del potere privato. Finché esiste il potere privato nel sistema economico è una barzelletta parlare di democrazia. Non si può nemmeno parlare di democrazia, se non c’è un controllo democratico dell’industria, del commercio, delle banche, di tutto.”
Lavoratori al tempo della oligarchia, convinti di essere in democrazia. Il vero sogno dell’oligarca, che finalmente, grazie soprattutto alla riforma della Scuola, pare essersi realizzato.

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