verona

di Cristina Riso –

Sarà pure vero che se l’occhio non vede il cuore non duole, ma quello che è certo è che a Verona l’arte più in voga è l’indifferenza. Eppure di cose da vedere ce ne sarebbero. La città è nota alle cronache per essere uno dei simboli indiscussi della deriva fascio leghista italiana. Il suo attuale sindaco Flavio Tosi, ormai anima ribelle dell’area leghista, vanta un passato intriso di attivismo nero ed un presente di marcato populismo politico in chiave fascista. È di questi mesi la notizia del disastro in cui sta contribuendo a trascinare, lui che ne è Presidente, la Fondazione Arena ed i suoi 300 lavoratori, un’istituzione ed un simbolo nella città. Ma è di qualche mese addietro, invece, la notizia che agli occhi di una calabrese in trasferta avrebbe dovuto far più che traballare la poltrona di un primo cittadino dell’efficiente e legalista nord e soprattutto, mi illudevo, destare l’ira furibonda dei veronesi.

Le informative dei Carabinieri infatti hanno fatto emergere con chiarezza che Tosi e l’allora vicesindaco Vito Giacino(dimessosi a seguito di un’inchiesta per corruzione) ebbero più di una occasione di incontrarsi con Antonio Gualtieri, referente veneto del clan Grande Aracri di Crotone con la mediazione di Moreno Nicolis, titolare della Nico.fer azienda produttrice di metallo. Proprio la Nico.fer fu raggiunta da interdittiva antimafia confermata dal Tar appena qualche settimana fa. Eppure Tosi in passato non esitò a levare i suoi scudi e la sua presunta autorevolezza a difesa di Nicolis, rispetto al quale chiese alla stampa di aspettare con pazienza la decisione del Tribunale Amministrativo. Ed in generale l’inchiesta Aemilia della DDA di Bologna– che a sud del Po ha invece saputo sconvolgere- ha toccato duramente anche la provincia veronese.

Tuttavia non è la prima volta che la ‘ndrangheta fa rima con Verona. Ricorderanno tutti l’inchiesta di Report nell’ambito della quale emersero i rapporti tra l’allora assessore Giorlo e la famiglia Giardino di Crotone. Rapporti poi riapparsi in Aemilia. Ovviamente non ci si ferma qui.

Il Veneto di oggi sembra aver perso le tracce della terra che svendette dalla fine dell’Ottocento fino agli anni ’60 le sue migliori braccia all’immigrazione. La terra che fu di braccianti poverissimi, spesso reclutati come crumiri nei primi del ‘900 per lavorare le terre lasciate incolte dagli scioperanti emiliano-romagnoli, oggi ha cambiato volto e odora di denaro fluente, di investimenti internazionali e di spritz. La stessa Verona si sta abbandonando alle mire espansionistiche dei nuovi investitori russi svendendo i suoi meravigliosi palazzi del centro ai ricchi avventori, sorvolando con piacere sulla loro origine extracomunitaria. Di denaro in Veneto ne circola e ne circola tanto. Troppe le operazioni sospette dice la Banca d’Italia. Eppure i veronesi di norma contano anche gli spiccioli alla macchinetta del caffè. E cosa c’è di meglio per la ‘ndrangheta di una terra dove il denaro gira facilmente e dove sono soprattutto ben accetti anche gli stranieri dal portafoglio gonfio? Non sono di certo solo i clan del crotonese ad aver espanso i loro affari sul territorio, se la Commissione Antimafia di recente ha puntato la sua attenzione anche sul Grande V.

Anche a Verona ci sono le orme del racket e del riciclaggio: lo vedi negli esercizi commerciali che chiudono e riaprono a stretto giro in poco tempo, nelle intestazioni di alcuni scontrini, nella tendenza a rivolgersi a fornitori predeterminati. Ma ecco, per vedere servono occhi aperti.

Ebbene, chi meglio di una calabrese sa che la presenza della ‘ndrangheta in un territorio non può e non deve far condannare tutto il suo popolo? Tuttavia, da calabrese, so che la mancanza o il rifiuto della memoria e l’assenza di desiderio di comprendere sono un delitto, che l’indifferenza porta all’autoconsunzione. E vi assicuro che è atroce non riuscire a condividere l’indignazione. Ed è ancora più atroce non riuscire a diffondere il valore delle scelte dei compagni rimasti a lottare, della storia di militanza del sud migliore, di quello che la ‘ndrangheta e l’abuso li ha saputi riconoscere e combattere dalla prima ora.

Mi convinco sempre di più che l’unica via per terre culturalmente fortificate come Verona, ed il Veneto in linea generale, sia la contaminazione. Servirebbe – paradossalmente – più SUD nel Triveneto, servirebbero occhi abituati a vedere e discernere, occhi che hanno scelto con determinazione da che parte stare. Gli stessi occhi delle decine di migliaia di migranti che popolano la città di Romeo e Giulietta, gli occhi di quelli che per primi timbrano il biglietto sull’autobus, che per primi si fermano a prestare soccorso o a dare indicazioni per strada, che rendono vivo uno dei quartieri più belli della città – Veronetta- da molti additato come il Bronx, che subiscono per primi il peso ingiusto di un’economia basata sul capitalismo globale.

Occhi che sanno guardare e che dovrebbero indicare la strada. A patto di volerli tenere aperti, ovviamente.

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