Vi insegnammo il pane,

che voi chiamate nostro e quotidiano,

vi insegnammo il chicco nella spiga,

e a farne farina.

Vi insegnammo il caldo del forno,

la carezza all’impasto.

Vi insegnammo il vino,

nostre erano le pecore che tornarono ubriache,

vi insegnammo gli acini al sole,

a rafforzare la vite.

Vi insegnammo che le stelle erano troppe,

che non ci sono mani per contarle,

vi lasciammo i numeri in punta di dita,

il segno dell’uno la somma ed il niente,

il tutto e lo zero.

Contammo le stelle per navigare il mare,

anche questo vi spiegammo.

Vi insegnammo i porti,

l’attenzione al vento,

a limitare la rabbia del fiume,

vi spiegammo l’acqua nei chiostri,

il suono della fontana nei vostri giardini.

Vi insegnammo i disegni sui muri,

la forma della parola,

a disegnare il pensiero,

la lettera che corrisponde al suono.

Vi insegnammo la musica,

la corda che accarezza l’aria,

l’armonia dentro la canna,

la musica dentro il soffio.

Vi insegnammo l’amore

dentro la poesia,

la meraviglia dei corpi

al profumo di unguenti.

Vi insegnammo il libro,

la carta e la memoria,

vi insegnammo Dio, perfino,

il vostro Dio,

bambino esule straniero ribelle,

vi insegnammo.

Vi insegnammo l’incontro,

perché voi lo ricordaste a noi,

al tempo.

 

*foto di Marco Costantino

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