the-village

di Elisabetta Viti –

 

“Chi scandalizza uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata d’asino, e fosse gettato negli abissi del mare”

Matteo (18,6)

“Nessuno è di fronte alle donne più arrogante aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità”

Il secondo sesso, Simone de Beauvoir

 

C’era una volta, in un piccolo paese del Sud Italia, con case strade e chiese del tutto simili a tanti altri paesi d’Italia, una bambina che, all’uscita da scuola, in pieno giorno aspettava una macchina. Lei in verità stava aspettando il fidanzato. Ma erano un branco di aguzzini quelli che venivano a prenderla da scuola, alla luce del sole e davanti a una caserma, per violentarla insieme o a turno. Erano nove, tutti adulti tranne uno, e tra loro c’erano anche un poliziotto e suo fratello, il figlio di un maresciallo, un infermiere e il figlio del boss del posto. “Se ti rifiuti, lo diciamo ai tuoi e diffondiamo le tue foto intime” ricattavano gli aguzzini e così la violenza continuava. Continuò per tre anni fino a quando la bambina non scrisse in un tema le sevizie subite e partì un’inchiesta che liberò la bambina e mise sotto accusa, sul piano legale, i violentatori, e su quello morale, tutti quelli che – in un paese piccolo come tanti -, pur non potendo non sapere, avevano taciuto. Chi perché non gliene fregava niente di una bambina “un po’ movimentata”. Altri perché tifavano per i maschi che tutto possono e sta alle ragazze saper stare al proprio posto, anche se hanno solo 13 anni. Tutti perché avevano paura e nessuno coraggio abbastanza per mettersi contro il figlio di un boss.

Questione di prostituzione, tuonò allora un sacerdote del paese. Questione che vede tutti vittime, anche i colpevoli, sentenziò un altro invitando (la stampa?) al silenzio. Questione di moralità per le “solite comari di un paesino” pronte a difendere i carnefici di una bambina che “se l’è andata a cercare”. In fila, alla manifestazione prontamente indetta contro quel brutto pasticcio in cui troppi – istituzioni in primis – rischiavano di perderci la faccia, non mancò certo il sindaco: lo stesso dichiaratosi offeso da certe “ricostruzioni giornalistiche” ree, a quanto pare, di lesa immagine del comune (tre volte sciolto per mafia). Nè fece mancare il suo sostegno il vescovo per il quale, dopotutto, non era tanto una questione di omertà e di ‘ndrangheta (“troppo comodo” disse, ma comodo a chi?) quanto essenzialmente di educazione (sessuale e cattolica). E pure lui invitò, sulle prime, al comandamento del silenzio: spegnere i riflettori dalla turpe vicenda particolare (i nomi concreti sono sempre scomodi) e fare luce (in generale e quindi in astratto) sul “sottobosco” della cattiva gioventù dedita ai piaceri per disattenzione delle famiglie. Successivamente punterà il dito contro i silenziosi nella veglia di preghiera a cui parteciperanno anche i sacerdoti di cui sopra e il primo cittadino (tutti fino allora evidentemente fraintesi, arcivescovo incluso).

Morale della favola nera per famiglie: se sei una bambina e ti violentano in nove, per tre anni, dopo averti prelevata col ricatto, ogni volta, all’uscita da scuola, è colpa dei genitori che non impediscono a Cappuccetto rosso di rincasare tardi la sera e di divertirsi a giocare coi lupi.

Non c’è da meravigliarsi se Cappuccetto Rosso ha faticato tanto, stavolta, a trovare un cacciatore nel “sottobosco”. E c’è da chiedersi se, tra i tanti assenti ingiustificati alla manifestazione per la bambina, non vi siano stati anche quelli che si sono rifiutati solo di partecipare a una sfilata. Rischio di ipocrisia, forse. Se le questioni vere, oltre l’espediente narrativo della favola, sono proprio quell’omertà e quella ‘ndrangheta che l’arcivescovo ha relegato in secondo (e “riduttivo”) piano, quando ci si sarebbe aspettati (almeno!) una nota episcopale di demerito per le esternazioni comode (queste sì) dei suoi pastori: gli stessi che identificano la violenza su una ragazzina con la prostituzione e nel regno dell’omertà invocano altro silenzio. Comodo anche tirare in ballo la mancata custodia dei figli, la cultura del sesso come “gioco e divertimento” – e  non “dono d’amore che si apre alla vita” (leggi procreativo) – , la solita notte corruttrice. E comodissimo e persino irritante preoccuparsi dell’anima dei colpevoli che non si vuol sapere quanto fossero consapevoli del male commesso (gioco sessuale per lo più, non tortura e pedofilia a partecipazione e protezione mafiosa) e si riesce invece a immaginare futuri padri di famiglia (“anche loro appartengono a questa società che ha una visione “consuma e divertiti”. Avranno il tempo e il modo di ripensare se questo è il modello che domani vorranno proporre ai loro figli”). Troppo comodo infine scomodare (è il caso di dirlo) Papa Francesco per una aleatoria “cultura dello scarto” piuttosto che per la sua linea dura – senza giri di parole e riguardi ai colpevoli e a chi li copre  – contro la pedofilia.

Eppure questo è un delitto avvenuto di giorno, sul corpo vivo di una bambina che, all’inizio di quella che non è una favola, aveva appena tredici anni. E a cui qualcuno ora dovrebbe darsi la pena non già di ribadire quella cultura omertosa, maschilista e sessuofobica che è all’origine e parte del dramma: lo stesso che le ha fermato i polsi per anni e costretta (a fine pasto) a sistemare una coperta (simbolo del suo silenzio e del ruolo tradizionale della donna addomesticata). Ma di spiegare, tre anni dopo, che sì il sesso è davvero gioco, divertimento e piacere del corpo, concetti che hanno a che fare con la libertà, il rispetto e la pienezza della persona e non col ricatto e lo stupro. Che far tardi la sera non è una colpa e non spiega le violenze sessuali. E che la paura della notte e del buio è stata inventata dal branco dei lupi per attrarre le bambine troppo buone in (ancora una volta comode) trappole di giorno. Che i lupi possono avere una divisa e aspettarti all’uscita della scuola. E che il precetto “non fare lo stortu e tacinon si legge nella Bibbia, ma è stato scritto dalla vigliaccheria di chi fuori dal branco si sente braccato e tuttavia può ancora contare su chi ogni volta, con la scusa di aiutare le vittime, preferirebbe chiudere la bocca alla stampa. Che infine non si deve obbedire nè dar retta a nessuno – adulto, maschio, fidanzato, familiare, in divisa o in tonaca – se ti chiede di rifare il letto dopo una violenza (e con la scusa implicita che rifare il letto è un compito da donna: anche i compiti da donna sono un’invenzione del branco). O se invoca il silenzio quando bisognerebbe gridare. O se usa un lessico astratto e surreale (“educare la realtà”, le “agenzie educative”…) per minimizzare e confondere, invece che denunciare, la brutta verità  – e lo “scandalo” per il Cristo indignato dei Vangeli  – di una bambina umiliata. E offesa. E sola. Sotto il ricatto della ‘ndrangheta.

O così dice la favola.

1 commento

  1. Complimenti ha scritto un grande articolo, questo significa fare Giornalismo, vorrei vedere i direttori delle grandi testate nazionali con le Sue capacità

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